mercoledì 3 aprile 2013

Casta e intoccabilità nell' India di oggi e origini delle suddivisione in caste


Anche se un sistema non più legale continua ad essere una realtà dell' India di oggi. Vi propongo questi due articoli sull' argomento:

http://www.indika.it/ricerca/antropologia-sociale/casta-e-intoccabilita-nell%E2%80%99india-di-oggi-2/:
Casta e intoccabilità nell' India di oggi

Donne dalit

La questione castale è da sempre argomento delicato per la comunità indiana, di curioso interesse per quella occidentale. La Costituzione Indiana, entrata in vigore il 26 gennaio 1950, dichiara che tutti i cittadini hanno eguaglianza di status e di opportunità e, all’epoca, tale legge rappresentò un cambiamento rivoluzionario nella società indiana, poiché stava a significare una sostanziale revisione dell’intera struttura sociale del paese. Per l’esattezza, l’articolo 17 della costituzione ha abolito definitivamente l’intoccabilità, proponendosi di garantire aiuto e tutela a tutte quelle persone fino a quel momento private di benefici educativi, politici, economici e sociali. Con il fine, quindi, di impegnarsi ad assicurare i diritti basilari all’intera società indiana, il governo indiano si impegnò di riservare per i membri delle classi più basse il 22,5% (una quota lievemente inferiore alla loro proporzione rispetto alla popolazione indiana) dei posti pubblici e dei posti scolastici, incluse le Università e i centri d’eccellenza accademici.
Il sistema castale e gli Arya in India

Al tempo dell’indipendenza (1947) l’India era divisa su più fronti. Da un punto di vista politico il paese si componeva di numerose province e di altrettanti stati principeschi, ma le divisioni erano anche di natura religiosa e regionale. A dispetto di un periodo molto lontano nel tempo, nel corso dei secoli il sistema castale si è cristallizzato in un rigido sistema gerarchico. Tale sistema ha sempre rappresentato una stabile stratificazione della società, nella quale differenti caste e sottocaste operavano come gruppi funzionali, specializzati nel loro rispettivo ambito. L’idea di fondo era che, se ciascun gruppo operava con successo al suo interno, la società avrebbe risentito positivamente di tale aspetto, con un risultato finale più armonioso. La società indiana appariva come una struttura verticale in cui le caste individuali erano gerarchicamente classificate e tenute permanentemente separate e, allo stesso tempo, vincolate da obblighi ben definiti che le integravano all’interno del sistema sociale di villaggio. In tempi in cui il termine hindu non era ancora in uso, introdotto solo a partire dal XIII secolo d.C. dai conquistatori turchi di fede musulmana, ad indicare gli indiani che non si convertivano all’Islam, ciascuna persona si identificava proprio attraverso la casta di appartenenza, il villaggio, la regione di origine o anche la divinità adorata.
Ma qual è l’origine delle caste ? La tesi che per molto tempo è prevalsa, almeno fino agli anni Cinquanta del XX secolo, rimanda il sorgere di questa complessa elaborazione sociale all’arrivo delle popolazioni di ceppo indoeuropeo, gli Arya, giunti presumibilmente dal centro Asia nei territori della Valle dell’Indo attorno al 1500 a. C., e all’inevitabile incontro tra loro, conquistatori, e le popolazioni dravidiche già presenti, conquistate.  Nel 1946 fu lo stesso Nehru, divenuto all’indomani della dichiarazione di indipendenza Primo Ministro della Repubblica Indiana nascente, a sostenere che, malgrado le popolazioni conquistate vantassero un patrimonio culturale straordinario e di antichissima origine, i nuovi arrivati si posero fin da subito in atteggiamento superiore, all’interno della tipica dialettica tra vincitore e vinto. Il solo modo per ottenere pieno controllo sulle terre occupate, senza doversi preoccupare di interagire con le popolazioni già presenti sul territorio, era  sottometterle. A parere di alcuni specialisti, molto probabilmente la teoria delle quattro principali classi rituali, i cosiddetti varna (letteralmente “colore”) ha trovato la sua formulazione nel medesimo periodo, come sostengono autori quali Basham (1954) concordi a ritenere che la distinzione era prima di tutto di colore, essendo i “dravida” di pelle più scura dei cosiddetti arya. La classificazione tradizionale prevedeva quattro varna, suddivisi nel modo seguente:
al primo posto i brahmani, con doveri religiosi e studio dei Veda, ai quali è associato il color bianco, al secondo posto gli kshatriya, re o guerrieri, dal colore rosso, al terzo i vaishya, mercanti o artigiani, di color giallo e all’ultimo posto gli shudra, dediti a servire le altre classi, inevitabilmente di color nero. Importante è sottolineare che, accanto alla tesi definita dagli studiosi “dell’irruzione violenta”, ve ne sono altre due formulate in tempi più recenti – “della migrazione pacifica” o “dell’origine autoctona” – che fanno intendere come il dibattito sulla presenza degli arya in India, sull’elaborazione della casta e sulle valenze politiche che ne conseguono, sia tuttora aperto e oggetto di studio (cf. M. Torri. 2007, Storia dell’India, Editori Laterza).
Il primo riferimento relativo alla casta è presente nel Rig Veda, il più antico dei quattro Veda, dove si narra il mito del purusha, uomo primordiale che emanò le quattro principali caste. Lo stesso riferimento lo si trova anche in altri importanti testi della tradizione classica indiana come la Manu Smriti, o Codice di Manu, testo sanscrito che raccoglie norme di comportamento, usi e costumi a cui ogni casta deve attenersi e che deve rispettare, o i Purana, testi includenti miti, leggende, metodi di devozione, dettagli geografici e storici.
All’inizio il concetto di casta si collegava più alla professione che alla nascita (jati) ed esisteva anche l’intercambiabilità tra caste; in concomitanza all’emergere di nuove e sempre più diversificate attività lavorative, soprattutto in epoca medievale, vi fu il conseguente sorgere di ulteriori caste e sottocaste, dando luogo ad una frammentazione minuziosa della struttura sociale. Ai quattro varna ufficialmente riconosciuti si aggiunse una quinta categoria, detta a-varna, “senza colore”, che raggruppava tutti coloro che, tanto erano considerati inferiori da non possedere nessun colore, depositari del più alto livello di impurità, e per questo, isolati ed emarginati. In altre parole, gli intoccabili (paria) in India non erano solo di casta bassa, ma esclusi ad accedere a programmi educativi ed occupazionali, poiché la loro impurità era fonte di allontanamento e di esclusione dalla società. Nel corso della storia sociale e politica dell’India, furono molti i riformatori e gli intellettuali che alzarono la loro voce contro la rigidità del sistema castale e contro il trattamento “inumano” nei confronti delle caste basse. In tempi recenti riformatori come Raja Ram Mohan Roy e Gandhi, per citare i più celebri, si sono battuti perché l’intoccabilità cessasse. Fu proprio Gandhi a “ribattezzarli” con l’appellativo di harijan, “figli di Dio”.
Alla luce di questi sforzi, che ebbero di certo il pregio di influenzare il pensiero relativo alla suddivisione ferrea della società in caste, di fondo le cose cambiarono poco. Ma, cominciarono a cambiare.
Le dinamiche contemporanee
Con l’intervento legislativo costituzionale, la pratica dell’intoccabilità, così come la discriminazione sulla base della casta, dell’etnia, del sesso o del credo religioso, furono abolite. Di conseguenza, avendo da questo momento in poi tutti i cittadini diritto di voto, la competizione politica risultante fu molto vivace. Owen M. Lynch ed altri studiosi ritengono che nell’espansione dell’arena politica indiana le caste stiano diventando sempre più politicizzate e forzate a competere per benefici sociali e politici. Nelle città sempre più in crescita e in espansione, le tradizionali interdipendenze castali sono ormai pressoché trascurabili. L’India indipendente ha cercato, sull’onda dei tentativi britannici, di rimediare ai problemi relativi alle caste più basse e agli intoccabili garantendo alle Scheduled Castes e Scheduled Tribes (gruppi castali e tribali più discriminati) benefici sul campo politico, educativo e occupazionale. Nell’agosto del 1990, il governo allora al potere decise di far rispettare le raccomandazioni della Backward Classes Commission, la commissione d’inchiesta Mandal, nata nel dicembre 1980 e largamente ignorata per un decennio. Tale commissione, nel tentativo di combattere povertà economica e discriminazione sociale, propose l’introduzione anche per le Other Backward Classes (OBC), gruppi castali arretrati appartenenti all’ordine degli shudra, l’ultimo delle quattro classi rituali di riferimento, di quote riservate sia nella burocrazia statale sia nel sistema di istruzione pubblica. Di fronte a tali provvedimenti, spesso le caste alte e più agiate si dimostrarono contrarie a tale tipologia di politiche sociali, poiché, essendo la disoccupazione uno dei maggiori problemi in India, molti pensavano di essere esclusi a priori per la candidatura di determinate posizioni professionali, nonostante la maggiore qualifica.  L’affermarsi dei diritti per le caste più basse ha portato a conflitti intercastali, soprattutto in Bihar, dove il movimento dalit (nome che sta ad indicare l’aspetto politico degli intoccabili) si propone di supportare i diritti dei paria e delle Scheduled Castes. Come atto di protesta molti intoccabili hanno rigettato l’Induismo per il suo rigido sistema e, seguendo l’esempio del loro grande leader Ambedkar, convertitosi al buddhismo 4 anni prima della sua morte avvenuta nel 1956, milioni hanno abbracciato la via buddhista. Altri si sono convertiti al Cristianesimo, ottenendo in questo modo un avanzamento del loro status socio-economico. Ancora oggi, nonostante i provvedimenti presi, una buona percentuale di loro vive nelle aree rurali dove lavora come bracciante. Anche la più equa distribuzione della terra, voluta dalla sinergia tra Governo centrale e governi statali, sembra non essere in grado di fronteggiare le tattiche evasive dei proprietari terrieri che cercano di evitare la ridistribuzione delle terre ai contadini.
Nell’India rurale contemporanea, il lavoro manuale si trova di fronte una maggiore concorrenza da parte dell’impiego di macchine agricole specializzate e l’espansione dei mercati commerciali danneggia i tradizionali obblighi reciproci tra committente e cliente. L’aumento dell’urbanizzazione inoltre, sta avendo una profonda influenza sulle pratiche di casta, non solo nelle città ma anche nei villaggi. Nella massa anonima degli spazi pubblici urbani, le affiliazioni di casta sono ormai sconosciute e l’osservanza della purità e impurità quasi trascurabile.
Costumi sociali che si sorreggevano grazie ad una forte e decisa distinzione di casta, si stanno sempre più modificando ed affievolendo, così come la trasformazione dei nomi delle basse caste, sebbene esse rimangano pressoché endogame e l’accesso all’occupazione spesso avviene attraverso connessioni intercastali. In altre parole, le restrizioni riguardanti le interazioni tra gruppi castali stanno cominciando a diventare sempre più rilassati e, allo stesso tempo, l’osservanza  delle regole legate al principio di purità rituale sta declinando.
Il punto di vista antropologico
L’intoccabilità è sempre stata un problema chiave dell’antropologia indiana. Ma il problema di fondo è che, come per altre questioni di altrettanta importanza, l’intoccabilità è stata trattata sempre come un concetto astratto, come se esistesse fuori dal tempo. L’antropologo francese Deliège sottolinea come i primi teorici che si sono occupati del tema castale, non avevano la conoscenza diretta di intoccabili, e tendevano a basare le loro teorie su testi sacri hindu che avevano poco a che fare con la vita reale. Uno dei problemi maggiori, infatti, relativo allo studio dell’intoccabilità è stato quello di approcciare la questione in modo indiretto. Più tardi, i primi studi di villaggio concentrati sull’insediamento di intoccabili si avvicinò maggiormente alla realtà relazionandosi maggiormente con le alte caste, le quali sottolineavano il carattere piuttosto armonico della società di villaggio e la perfetta integrazione di intoccabili nell’organizzazione sociale. In altre parole ad una deformazione operata dai testi succedette un altro tipo di deformazione, operata dalle caste alte. Nel corso degli ultimi anni si è assistito al sorgere di un altro tipo di mutamento che, a parere di Deliège, si può definire “militante”. Non sono più i testi o le caste alte a detenere la chiave di lettura relativa agli intoccabili, bensì i militanti delle organizzazioni “dalit”. L’integrazione dei paria nella società indiana è un problema complesso che necessita una specificazione storica. Oggi sembra si possa parlare di un vero paradosso dell’intoccabilità: mentre gli intoccabili non sono mai stati integrati nella società indiana, essi sono divenuti molto più rivendicativi, fino a far valere una propria identità e ad opporsi, a volte con la violenza, al resto della società.
Si è pensato spesso che la società indiana fosse ferma, immobile, destinata al non – cambiamento, ma tutto questo, ancor più oggi, risulta erroneo. L’India post-indipendente ha conosciuto dei cambiamenti significativi e, a tratti, più veloci del previsto. Le discriminazioni legate all’impurità rituale rappresentano un problema ormai marginale per i membri delle caste più basse. Di certo tali pratiche non sono scomparse totalmente, alcune alte caste continuano ad applicare condotte discriminatorie, ma non si tratta più di una caratteristica fondamentale delle relazioni sociali, esse sembrano piuttosto l’espressione di un fenomeno nuovo, invece che reminiscenze di un passato lontano. La società nel suo insieme è cambiata. È senza dubbio vero che una parte sostanziale di intoccabili rimane povera, ma la povertà è una condizione economica non è un affare di casta. Il problema della povertà in India supera largamente quello dell’intoccabilità. Dal momento in cui fu possibile, le caste più basse lottarono con forza e coraggio per migliorare la loro condizione e posizione in seno alla società indiana. L’abolizione formale dell’intoccabilità nella Costituzione indiana non fu sufficiente ad eliminare completamente il problema, ma ha prodotto delle conseguenze di ampio spessore. In generale, le discriminazioni non cessano dall’oggi al domani.
Le difficoltà che le fasce inferiori della società indiana odierna devono affrontare non sono legate per forza alla casta. I processi di modernizzazione, come la meccanizzazione dell’agricoltura, o la liberalizzazione dell’economia sono a tutt’oggi importante argomento di dibattito e non è certo che le classi inferiori per forza ne risentiranno. Ma è certo che se degli effetti nefasti si faranno sentire, colpiranno i più poveri, qualsiasi sia la loro casta. E questo non sembra essere una peculiarità indiana.

http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2003/06/01/news/intoccabili-24064/ :


India, gli intoccabili

Bollato come impuro già al momento della nascita, un indiano su sei vive (e soffre) al livello più basso del sistema delle caste indù.

di Tom O' Neill    fotografie di William Albert Allard
india,religioni
Fotografia di William Albert Allard

Girdharilal Maurya ha molti peccati da scontare, insistono i suoi detrattori. Ha un karma negativo. Perché mai sarebbe  nato intoccabile, come i suoi avi, se non per espiare le sue vite precedenti? E poi lavora il cuoio, e per la legge induista chiunque tratti le pelli animali è impuro: è da evitare e ingiuriare. È peccaminosa anche la sua indecente ricchezza. Insomma, chi crede di essere questo intoccabile, che si azzarda a comprare un pezzetto di terra nei dintorni del villaggio? E come ha osato rivolgersi alla polizia, alzare persino la voce, reclamando l'accesso al nuovo pozzo del villaggio? Ecco, quell'uomo ha avuto ciò che un intoccabile si merita.
Una sera, mentre Maurya era in viaggio, otto uomini di una casta più elevata, quella dei rajput, hanno devastato la sua fattoria. Aperto un varco nella recinzione, hanno rubato il trattore, picchiato la moglie e la figlia, incendiato la casa. Il messaggio era chiaro: stà al posto tuo. Cioè al gradino più basso della scala sociale. Girdharilal Maurya è poi fuggito con la famiglia dal villaggio di Kharkada, nello Stato occidentale del Rajasthan. Solo due anni dopo si è sentito abbastanza sicuro da tornare, e soltanto perché alcuni
avvocati che si occupano di diritti umani hanno preso le sue difese, garantendogli una sia pur esile protezione.
"Li vedo quasi ogni giorno", mormora Maurya, parlando dei suoi aggressori: "Vanno in giro indisturbati". Ha accettato di vedermi solo dopo il tramonto, nel cortile della sua casa. Vive assieme alla moglie all'estremità meridionale del villaggio, come tutti gli altri intoccabili. Il quartiere è a sfavore di vento rispetto alle case delle famiglie di casta superiore, in modo che degli intoccabili non arrivi nemmeno l'odore.
Maurya spiega che la causa contro i suoi aggressori si trascina stancamente in tribunale. Ma cerca di mostrarsi ottimista. Oggi, dice, gli intoccabili possono usare la pompa del pozzo, e, per la prima volta nella storia del villaggio, un giovane intoccabile si è iscritto all'università: suo figlio.
Ma quando ammette di avere ancora paura, la sua voce sale di tono, e la moglie alza il volume della radio per coprirla. "Il governo si rifiuta di affrontare problemi come quello dei pozzi, perché, sostiene, il sistema delle caste è abolito per legge. Beh, si guardi un po' intorno. Siamo trattati peggio degli animali. È innaturale. Chiediamo solo il rispetto dei nostri diritti umani". Alza ancora la voce, come per lanciare un'implorazione nella notte: "Perché gli dei mi hanno fatto nascere in un Paese come questo?".

In India, fin dalla nascita ogni indù è inserito nel sistema castale, che stabilisce una gerarchia dei comportamenti sociali, fra le più antiche esistenti al mondo. Radicato nella cultura indiana da 1500 anni, il sistema si fonda su un assunto di base: tutti gli uomini sono diversi.
La gerarchia delle caste è spiegata da un antico mito: le principali categorie sociali, o varna, emergono da un essere primordiale. Dalla bocca provengono i brahmani, sacerdoti e insegnanti; dalle braccia gli kshatriya, re, nobili e guerrieri; dalle cosce i vaisya, commercianti e artigiani; dai piedi, i sudra, la massa dei lavoratori comuni. Ciascun varna, a sua volta, è suddiviso in centinaia di caste e sottocaste, ordinate secondo una gerarchia.
Gli achuta, o intoccabili, costituiscono una quinta categoria. L'essere primordiale non ne rivendica la paternità. Il concetto di fuoricasta è strettamente legato a quello di "impurità". Esseri tanto contaminati da non meritare alcun valore, tali da rendere impuri gli altri varna anche solo sfiorandoli con lo sguardo o con la propria ombra, e perciò imbrigliati da regole severe per assicurarne l'isolamento nella comunità. Tutta la loro vita è dominata dal pregiudizio, specie nelle campagne, dove vivono tre quarti degli indiani.
Sono evitati, insultati, banditi dai templi e dalle case delle caste superiori; nei locali pubblici devono usare stoviglie separate. In casi estremi, ma non troppo rari, vengono stuprati, bruciati vivi, linciati o uccisi a colpi di arma da fuoco.

L'antica dottrina prevale sulla legge moderna. La costituzione indiana ha abolito le regole
del sistema castale, e ha decretato la parità degli intoccabili di fronte alla legge; ma l'Induismo,
la fede condivisa dall'80 per cento della popolazione detta legge nella quotidianità.
Il sistema castale è considerato sacro e immutabile, e rinunciarvi equivarrebbe a sovvertire l'ordine dell'universo. La dottrina del karma determina l'appartenenza a una casta: un intoccabile può generare soltanto un figlio altrettanto intoccabile, condannato fin dal primo vagito a una condizione di "impurità".
Eppure gli intoccabili non hanno un aspetto diverso dagli altri indiani. La loro pelle è dello stesso colore. Non vestono stracci, né hanno il corpo piagato. Camminano per le stesse strade e frequentano le stesse scuole.

Tuttavia, è come se portassero sulla fronte un marchio indelebile. "È impossibile nascondere
la propria casta", conferma Sukhadeo Thorat, docente universitario, uno dei pochi intoccabili ad aver conseguito un dottorato in economia. "Si può provare a mascherarla, ma alla fine, in un modo o nell'altro, ci si tradisce sempre. Un indù non si sente mai del tutto sicuro se non conosce l'origine della persona con cui ha a che fare. In un paio di mesi al massimo, la casta salta fuori". Il cognome, l'indirizzo, il linguaggio del corpo, sono altrettanti indizi: ma nessuno è tanto decisivo quanto la professione.
Gli intoccabili fanno i "lavori sporchi" necessari alla società: quelli che prevedono un contatto con il sangue, gli escrementi, la sporcizia e le impurità del corpo, così come sono codificate dalla legge induista.

Essi cremano i defunti, sgombrano le latrine, tagliano i cordoni ombelicali, rimuovono dalla strada le carogne, conciano le pelli, ripuliscono le fogne. Questi mestieri passano di padre in figlio, e con loro la condizione di intoccabile. Sono considerati impuri anche i tanti fuoricasta che svolgono lavori "puliti", soprattutto come manodopera sottopagata nei campi.

Qualcuno obietta che le forme di discriminazione più aperte e brutali sono quasi del tutto scomparse, grazie a sporadiche riforme attuate sia prima sia dopo il 1947, l'anno dell'indipendenza. È indubbio che, almeno nella sfera pubblica, la condizione degli intoccabili sia migliorata. Non sono poi troppo lontani i tempi in cui essi venivano picchiati se la loro ombra sfiorava una persona di casta superiore, costretti a portare dei campanelli per annunciare la loro presenza, a munirsi di secchielli perché il loro sputo non contaminasse il terreno, a non poter accedere a una scuola, né sedere su una panca accanto a una persona di casta più elevata.

Secondo la costituzione del 1950, agli intoccabili è riservata una quota di seggi nel parlamento federale, pari alla loro percentuale sul totale della popolazione: il 15 per cento.
Il sistema è esteso ai parlamenti statali, ai consigli di villaggio, alla pubblica amministrazione, ai corsi universitari.
Il sistema delle quote è sempre stato difeso dai partiti di governo, malgrado le proteste anche violente che ha suscitato. Nel 1981, nello Stato del Gujarat, uno studente di casta elevata non fu ammesso all'università per far posto a un intoccabile: seguì una rivolta che durò 78 giorni. Molti posti riservati restano inutilizzati; migliaia di fuoricasta, però, hanno trovato impiego nella vasta burocrazia indiana, tanto che essi sono entrati a far parte della classe media.

Tuttavia leggi e regolamenti non sono riusciti ad abbattere le fondamenta del sistema castale. E questo in un Paese, l'India, che si propone come esempio ai Paesi in via di sviluppo: la democrazia più popolosa al mondo, potenza all'avanguardia nella produzione di software, di satelliti per telecomunicazioni, di energia nucleare e armi atomiche. Eppure fra i suoi cittadini conta ancora 160 milioni di intoccabili. Ho trascorso in India un intero inverno, e quasi non passava giorno senza la notizia di ragazzi sfigurati con l'acido, di donne violentate sotto gli occhi del marito, o altri episodi simili. All'origine, c'era sempre la stessa "provocazione": un intoccabile che non aveva saputo stare al suo posto.

Il sistema castale ha il suo "manuale di istruzioni". Le Leggi di Manu, compilate almeno 2000 anni fa da sacerdoti brahmani, elencano le norme inviolabili per gli induisti: i cibi consentiti a ciascuna casta, le regole matrimoniali, quelle sul denaro, la violenza, l'igiene, le frequentazioni. "Manu è scolpito nel cuore di ogni indù", afferma Umashankar Tripathy, un sacerdote brahmano che incontro a Varanasi, la città santa bagnata dal Gange, meta di pellegrinaggi. Seduto a gambe incrociate su una stuoia di paglia, Tripathy indossa il tradizionale dhoti, un lungo telo avvolto attorno ai fianchi, sotto una tunica abbottonata. L'abito è immacolato, le sue mani morbide come guanti di pelle fina.
Il sacerdote si attiene alle parole di Manu, il mitico progenitore degli uomini. Come brahmano, spiega, deve rispettare il codice di purezza, alla base dell'organizzazione sociale. "Non bevo alcol, non mangio carne né vegetali che crescono nel terreno, come lo zenzero o la cipolla. La mia mente deve essere immacolata come i miei vestiti". I veri brahmani, dice, non dovrebbero mai avere contatti con gli intoccabili. "Non potrebbero toccare neanche i piedi di Gandhi". Eppure il padre dell'indipendenza indiana oggi è venerato come un dio. "Gandhi era un vaisya: i brahmani sono superiori", conclude il sacerdote.

Secondo gli insegnamenti di Manu, toccare una salma dopo i riti mortuari è uno degli atti più contaminanti. Il compito di cremare i cadaveri è dunque affidato alle caste di intoccabili, come quella dei dom. Gli indù più devoti portano i loro morti a Varanasi, per farli cremare in vista del fiume sacro. I dom lavorano sui ghat, le ripide scalinate scavate sulle rive del Gange. Sull'Harischchandra Ghat, cercando di evitare gli sbuffi di fumo, osservo un dom che si occupa della salma di un'anziana donna. Matru Choudhary, capo della locale comunità dom, mi descrive le operazioni: "Occorrono tre ore perché il corpo bruci completamente. A volte di meno, se c'è più legna. Più ricca è la famiglia, più legna compra".
Un gruppo di uomini in dhoti bianco siede in silenzio sui gradini che sovrastano la pira. Sono i parenti maschi della defunta. Per tradizione, le donne non sono ammesse alle cremazioni, perché potrebbero piangere: le lacrime, come tutti i fluidi corporei, sono considerate impure.

Gli uomini aspettano. Sulla riva fangosa del fiume, due dom adolescenti attizzano la pira con indifferenza, come badando al fuoco in cucina. Uno di loro, con un bastone, spinge una gamba della donna nella catasta ardente. Due mucche si riscaldano al fuoco.
Quando tutta la legna è ridotta in cenere, uno dei dom ne estrae lo sterno della defunta, ancora intatto, e lo dà al figlio maggiore, che lo getta nel Gange. Appena i parenti se ne vanno, i ragazzi cominciano a correre sulla terra annerita dal fuoco, con gli occhi levati verso un minuscolo aquilone rosso. "Più tardi rastrelleremo le ceneri", m'informa Choudhary. "Con un po' di fortuna, troveremo dei denti d'oro o degli orecchini da naso. Siamo autorizzati a tenerli".

Ma quella dei dom non è la casta più bassa. Al di sotto di loro vi sono i più umili tra gli spazzini, chiamati bhangi, pakhi o sikkaliar a seconda delle regioni: portano via le feci dalle latrine pubbliche, puliscono i pozzi neri delle case private, e spazzano via dalle strade gli escrementi degli animali. Nemmeno gli altri intoccabili accettano cibo o bevande da loro.

Una mattina ad Ahmadabad, la città più grande dello Stato occidentale del Gujarat, seguo cinque dei 10 mila bhangi della città: sono incaricati di liberare un condotto fognario intasato, in un quartiere di media borghesia. Indossano abiti comuni e puliti. Si fermano accanto a un tombino, vicino a una moschea, e Dinesh Parmar, un agile venticinquenne con una catena d'oro al collo, alza il coperchio.
Dal buio schizzano veloci gli scarafaggi, mentre il puzzo inonda la strada. Parmar esita un solo istante, poi si cala nel tombino. Non indossa guanti né maschera antigas. Completamente immerso nella cavità, prende a sollevare secchi di escrementi, uno dietro l'altro, metodicamente, e a posarli
sulla strada. Accorrono sciami di mosche. Poi l'uomo si ferma, stordito dal monossido di carbonio esalato dalla fogna. A un cenno di assenso del caposquadra, Parmar esce dal tombino: l'anno scorso, ad Ahmadabad, 30 bhangi sono morti avvelenati dal gas.

Parmar si sposta verso un vicolo vicino, lasciando impronte brunastre sul selciato. Si cala in diversi altri tombini, tirandone fuori grumi di melma. Le donne si affacciano sulle porte di casa a guardare, con il velo premuto sul naso, lamentandosi che anche i loro gabinetti sono intasati. Dopo l'ultimo tombino, Parmar resta in silenzio, in piedi in mezzo al vicolo, con le braccia e le gambe coperte di porcheria. Poi chiede un po' d'acqua e sapone. Finalmente una delle donne si fa avanti, gridando alle altre di vergognarsi. Parmar si spoglia in mezzo alla strada e si lava con cura i vestiti, il corpo, i capelli.
"È il mio destino. Non ho studiato, non troverò mai un altro lavoro", dice Parmar, una volta ripulito. "In certi posti mi aiutano a lavarmi, in altri no, ma nessuno, neanche i più caritatevoli, mi offre una tazza di tè". Parmar ha una figlia. "La farò studiare", promette. "Se il fato sarà propizio, troverà un lavoro migliore".

A volte accade che indiani di casta superiore prendano coscienza e decidano di battersi per abolire il concetto di intoccabilità. Fu lo stesso Mahatma Gandhi a promuovere una delle prime e più accese campagne per sradicarlo. Nel suo ashram, la comunità fondata nel 1915 ad Ahmadabad, Gandhi accettò una famiglia di fuoricasta, e più tardi ne adottò la figlia, scandalizzando protettori e seguaci.
In scritti e discorsi il Mahatma implorò gli indiani affinché rifiutassero il concetto stesso di impurità per nascita, e mettessero fine alla discriminazione contro gli intoccabili. Nel suo ashram tutti dovevano occuparsi dei lavori manuali, anche di quelli considerati impuri. Gandhi diede agli intoccabili un nuovo nome: harijan, "popolo di Hari". (Hari è uno dei nomi di Visnu: era come definirli "figli di Dio").
Nel 1933 il Mahatma sfidò le élite indù con un controverso "viaggio degli harijan" attraverso il Paese. Invocò misure radicali, come l'ammissione dei fuoricasta nei templi. "L'intoccabilità ha le ore contate", dichiarò al termine del viaggio. Era una pia illusione. Gli storici riconoscono a Gandhi il merito d'aver posto il problema al centro del dibattito politico nazionale, impegnandosi con tutta la sua indiscussa statura morale. Tuttavia, egli non mise mai in questione il sistema castale, e ottenne ben pochi risultati concreti.

Per molti intoccabili, specie i più istruiti, Gandhi andrebbe tirato giù dal suo piedistallo. "È l'uomo che il mondo occidentale ha compreso di meno", sostiene il professor Thorat. "Certo, ha avuto un ruolo fondamentale nella conquista dell'indipendenza. Ma se il sistema castale, questo sciagurato contributo dell'India alla civiltà mondiale, è ancora in piedi, la responsabilità è anche sua". Persino il termine harijan, sostengono in molti, ispira pietà piuttosto che rispetto. Gli intoccabili politicamente impegnati preferiscono dalit, che significa "oppresso".

Secondo questa corrente di pensiero, Gandhi ebbe tuttavia una colpa ancor più grave: la sua battaglia contro Bhimrao Ramji Ambedkar, l'unico eroe indiscusso dei fuoricasta indiani. Ambedkar fu il principale estensore della costituzione indiana, ideò il programma di assistenza per le vittime di pregiudizi, scrisse una dozzina di libri, e fondò il primo partito politico degli intoccabili.

Ambedkar nacque nel 1891; la sua famiglia apparteneva a una casta intoccabile di servitori, quella dei mahar. A scuola doveva sedere lontano dai ragazzi delle caste superiori, ma nonostante le premesse, ottenne risultati brillanti. Grazie ad alcune borse di studio, conseguì dottorati di ricerca alla Columbia University di New York e alla London School of Economics. Poi, nel 1923 tornò a Bombay (oggi Mumbai), dove intraprese la professione di avvocato e aderì al nascente movimento degli intoccabili. Non aveva peli sulla lingua e non temeva lo scontro: una volta, al termine di una manifestazione, bruciò una copia delle Leggi di Manu. Era un atto di eresia e una dichiarazione di guerra. "Per i fuoricasta, l'unico modo di emanciparsi è distruggere il sistema castale", ripeteva. La sua posizione era chiara: smantellare le fondamenta religiose su cui si basava l'ordine sociale.

Agli inizi degli Anni Trenta, Ambedkar era diventato il principale rappresentante della causa degli intoccabili. Quando il governo coloniale britannico decise di concedere i diritti politici anche alle caste inferiori, Ambedkar chiese che gli intoccabili costituissero un elettorato a parte. Temeva che, in un'elezione aperta a tutte le caste, nemmeno gli intoccabili più determinati avrebbero potuto vincere; o che, per essere eletti, avrebbero dovuto piegarsi agli interessi delle classi superiori. Riteneva che solo gli intoccabili dovessero votare per le cariche riservate agli intoccabili.

Gandhi si oppose per motivi religiosi: temeva che una soluzione laica al problema delle caste avrebbe distrutto l'induismo. Nel settembre del 1932, quando sembrava che i britannici stessero per accettare le richieste di Ambedkar, il Mahatma cominciò un digiuno di protesta "fino alla morte". Dopo pochi giorni, Gandhi si era già indebolito, e Ambedkar non poté che cedere. Ottenne che un certo numero di seggi in parlamento fosse riservato agli intoccabili, ma la spinta verso cambiamenti più radicali era ormai stata frenata. Non essendo riuscito a sradicare il sistema delle caste dall'Induismo, Ambedkar finì per abbandonare la sua religione e convertirsi al Buddhismo nell'ottobre del 1956. Centinaia di migliaia di intoccabili seguirono il suo esempio; ma dopo soli due mesi Ambedkar morì, per cause naturali.

Sebbene sia ancora diffusa in alcune aree urbane, la pratica della conversione non è mai diventata un movimento di massa. La memoria di Ambedkar però è ancora viva. In villaggi e città, in quasi ogni quartiere abitato da intoccabili, compaiono statue o dipinti che lo raffigurano. C'è un suo busto, ornato da calendule arancioni, anche a Ramabai Colony, una bidonville di Mumbai che prende il nome proprio dalla moglie di Ambedkar. Mi accompagna a visitarla il dottor Harish K. Ahire, un medico intoccabile. Camminando per le viuzze affollate, inondate dal sole, vedo il volto di Ambedkar ovunque: sulle pareti delle case, sui muri scrostati di piccoli templi buddhisti, sui segnali stradali. E gli abitanti sono ansiosi
di raccontare la storia dei loro nonni o dei loro genitori che, proprio ispirandosi alle idee di Ambedkar, lasciarono i villaggi per le città per sfuggire alla soffocante morsa delle caste. Eppure, a Ramabai le fogne sono a cielo aperto, le scuole scadenti, e imperversano le malattie.

A cosa è valsa, qui, la lotta di Ambedkar? Ahire mi presenta un intoccabile di nome Ambet Raghunath: è un uomo sulla trentina, magro, scalzo. Quando è arrivato a Ramabai dal suo villaggio natio, vicino a Varanasi, aveva in tasca 200 rupie, pari a meno di quattro euro. Adesso lavora in un negozio, dove confeziona e vende involti a base di noce di betel da masticare. Guadagna qualcosa come 40 euro al mese, una somma principesca per un intoccabile di campagna, e manda quasi tutto alla moglie, che egli va a trovare una volta all'anno. "Non tornerò mai più a vivere laggiù", proclama. "Qui sono libero di fare il lavoro che voglio, e di vivere dove voglio".

Tra le baracche di Ramabai tutte le caste vivono fianco a fianco, bevono dallo stesso pozzo, aspettano in fila l'una dietro l'altra. A unirle è la povertà. Qui, come in altre aree urbane, gli intoccabili possono vivere nell'anonimato, con una certa libertà di scelta, e persino con qualche soddisfazione. Agli occhi di alcuni, questa bidonville può sembrare un fallimento; ma è anche una sfida coraggiosa, di cui Ambedkar andrebbe fiero. Dopo la sua morte, nessun leader intoccabile ha esercitato un'influenza o conquistato un seguito paragonabili ai suoi. Oggi le speranze di cambiamento sono affidate agli attivisti di base, pochi ma in numero crescente, che operano nei villaggi di tutta l'India. Il villaggio è il terreno di coltura del sistema castale, ed è qui che i militanti insegnano agli intoccabili le tattiche per combattere contro il proprio destino.

Trovare e formare leader è una missione per Martin Macwan, uno dei militanti più in vista
del movimento degli intoccabili. Macwan è fondatore e direttore del Navsarjan Trust, un'organizzazione con sede nel Gujarat che si batte per il rispetto delle leggi contro la discriminazione.
Ha guidato la delegazione di intoccabili che ha partecipato alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo, tenutasi a Durban, nel Sudafrica, nel 2001. Il gruppo chiedeva che la conferenza mettesse all'ordine del giorno anche la discriminazione di casta, ma le pesanti pressioni del governo indiano hanno impedito che il tema fosse ufficialmente affrontato.
"Molte delle mie azioni sono influenzate dai miei ricordi d'infanzia", racconta Macwan. Appartiene a una casta di tessitori, e non può dimenticare le umiliazioni subite da piccolo: dover porgere le mani per raccogliere l'acqua, perché nessuno gli offriva un bicchiere; essere preso in giro perché calzava scarpe inadatte alla sua casta; vedere sua madre che si rovinava i polmoni lavorando per un salario da fame in una manifattura di tabacco da fiuto. Grazie a una borsa di studio, Macwan è stato in seminario dai gesuiti, ma, sostiene, è rimasto deluso dall'indifferenza delle istituzioni ecclesiastiche verso i poveri. Dopo la laurea in legge, nel 1983, ha iniziato la sua attività politica: la mobilitazione per la riforma agraria nei villaggi di intoccabili. Poi c'è stato l'episodio di Golana.

Era il 1986 e, assieme a un altro militante, Macwan assisteva una cooperativa di intoccabili nelle sue rivendicazioni. Il governo statale le aveva dato in concessione un terreno, ma i proprietari terrieri, che appartenevano alla casta superiore degli kshatriya, lo usavano illegalmente per la trebbiatura, e minacciavano gli intoccabili perché abbandonassero le loro richieste. La tensione saliva. Un giorno in cui Macwan era a casa con la febbre, i proprietari diedero l'assalto al quartiere degli intoccabili. Uccisero quattro persone, ne ferirono 18, e bruciarono diverse case. Anche il collega di Macwan rimase ucciso. "Aveva il cranio fratturato. Gli spararono almeno sei colpi", ricorda. "Non passa giorno senza che mi ritorni in mente".

Macwan passò al contrattacco, armato soltanto dei diritti costituzionali. "Gli kshatriya pensavano di poter mettere tutto a tacere con i soldi", racconta. "Ma si sbagliavano". Riuscì a trovare 150 testimoni, e organizzò nel villaggio una simulazione del processo, così da prepararli alle udienze in tribunale. Il processo si concluse con dieci condanne all'ergastolo per omicidio. "Per pagare gli avvocati gli kshatriya hanno dovuto vendere terre e fabbriche", dice adesso Macwan. "Hanno perso il potere economico e anche l'autorità morale".

Incoraggiato dalla sorprendente vittoria, Macwan creò la sua organizzazione. Oggi il Navsarjan ("nuovo inizio" in lingua gujarati) opera in circa 2200 villaggi. Ne fanno parte oltre 150 "avvocati scalzi", appositamente addestrati, che aiutano gli intoccabili a difendersi in tribunale contro violenze e discriminazioni. Anche i cittadini di casta superiore possono chiedere assistenza all'organizzazione, ma devono pagare un prezzo: accettare un bicchier d'acqua offerto da un fuoricasta.

Per reclutare militanti nei villaggi, Macwan adotta un semplice criterio: "Cerco la rabbia". Di solito è un atto di violenza ad accendere l'ira in chi l'ha subito o vi ha assistito. E negli ultimi anni, le violenze contro gli intoccabili sono aumentate anche del 25-30 per cento in Stati come il Bihar o il Tamil Nadu. Secondo gli attivisti, l'aumento delle violenze è una reazione al nuovo atteggiamento degli intoccabili, più decisi nel far valere i propri diritti. Ma, aggiungono, i dati ufficiali sottovalutano la realtà, perché i delitti contro gli intoccabili sono denunciati solo in minima parte, e ancor meno sono quelli su cui la polizia indaga davvero.

La rabbia, ma anche la paura e il senso d'impotenza, si leggono sul volto delle vittime che ho incontrato. Come Laxman Singh, che vive in un'azienda agricola dello Stato del Rajasthan, nascosto in un capanno con la sua famiglia. Mi racconta che una notte, nel suo villaggio d'origine, amici e parenti del presidente del consiglio comunale l'hanno aggredito a colpi di pietre e spranghe di ferro, lasciandolo sul terreno "come morto". Ha perso entrambe le gambe per cancrena, dopo essere rimasto per tre giorni sul pavimento dell'ospedale senza che nessuno lo curasse. La sua colpa? Aveva effettuato dei lavori in casa del presidente del consiglio comunale ma non era stato pagato, e quindi aveva presentato un esposto alla polizia. "I miei aggressori mi stanno ancora cercando", dice. "Sanno bene che cosa direi contro di loro in tribunale".

Alcuni dei peggiori delitti legati alle discriminazioni di casta sono commessi nel Bihar, uno Stato povero e in preda all'anarchia al confine con il Nepal. Qui, da una trentina d'anni, agiscono gruppi di guerriglieri di ispirazione maoista - i "naxaliti" - che si battono per una riforma agraria radicale. Molti intoccabili hanno imbracciato il fucile per rispondere con la violenza alla violenza dei proprietari terrieri. Le caste superiori reagiscono con le loro milizie private.

Nel suo studio di Patna, la capitale del Bihar, il fotoreporter Krishna Murari Kishan mi mostra il suo repertorio di massacri: macabre immagini di intoccabili uccisi, per la maggior parte donne e bambini bruciati vivi nelle loro case. "Ci sono una o due uccisioni a settimana", spiega Kishan, "ma ormai non me ne occupo più. Non vale la pena. I direttori dei giornali mi mandano soltanto a fotografare le stragi".
Con una pistola nascosta sotto il sedile dell'auto, Kishan mi accompagna al quartier generale della milizia più tristemente famosa,  implicata nell'assassinio di oltre 500 fuoricasta. In un villaggio di campagna, detto "la fortezza" per le armi che vi sono accumulate, uno dei capi accetta di rispondere alle mie domande.
È un brahmano. Gli intoccabili, sostiene, hanno ottenuto troppi diritti, e il suo gruppo si limita a difendersi. "Se ci provocano, uccidiamo", s'inorgoglisce. "Dieci intoccabili per ciascuno dei nostri che viene ucciso. La gente deve imparare a rispettare il sistema castale". A morire, obietto, sono spesso donne e bambini. Perché prendersela con degli innocenti? Il brahmano alza le spalle: "Finiscono per caso nella traiettoria".

Io cerco la rabbia, aveva detto Martin Macwan. E sono soprattutto le donne intoccabili ad essere arrabbiate, sottolineano i militanti per i diritti umani. Tanti mariti abbandonano la famiglia per cercare lavoro in città, e gli uomini rimasti nei villaggi sono demoralizzati e avviliti. Sempre più donne, invece, decidono che tocca a loro farsi sentire per difendere la famiglia.
Nell'Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell'India, ascolto la voce di una di queste donne indignate. Il suo nome è Mayawati, ha 46 anni, è un'insegnante e appartiene alla casta degli chamar, lavoratori del cuoio. Nella città di Lucknow, diverse migliaia di persone si accalcano per ascoltare il suo comizio. Mayawati si scaglia contro le Leggi di Manu e promette che i responsabili dei delitti di casta saranno perseguiti dalla giustizia.

Nell'Uttar Pradesh, Mayawati guida il Bahujan Samaj, un partito di intoccabili diffuso nel Nord dell'India. Questa combattiva signora è stata la prima donna intoccabile a diventare primo ministro di uno Stato; anzi, ha ricoperto la carica per ben due volte, e per due volte l'ha persa perché un partito alleato, dominato dai brahmani, ha ritirato il suo appoggio. La sua aggressiva politica a favore degli intoccabili le ha alienato le simpatie delle élite.
Trascorse poche settimane da quel comizio, Mayawati viene di nuovo nominata primo ministro. E, incredibile a dirsi, forma una coalizione proprio con quello stesso partito di brahmani, che lei aveva pesantemente attaccato nel suo discorso. Attraverso un compromesso opportunistico tipico della complicata politica indiana, il partito delle caste più basse e quello delle caste più alte si sono alleati per fermare l'avanzata del partito dei sudra, il gruppo sociale immediatamente superiore a quello degli intoccabili, composto soprattutto da braccianti agricoli.

Ogni tanto la rabbia esplode anche ai vertici dello Stato. Tra il 1997 e il 2002 l'India ha avuto il suo primo presidente intoccabile, K. R. Narayanan. Il presidente indiano ha soprattutto compiti cerimoniali, ma Narayanan è spesso andato oltre, proprio per criticare il sistema castale. In occasione della festa della Repubblica del 2000, ha affermato che, finché l'intoccabilità
e la discriminazione verso le donne non saranno sradicate, "l'edificio della nostra democrazia sarà come un palazzo costruito su un mucchio di sterco".

Ma non saranno i discorsi a sanare la piaga dei fuoricasta indiani, vittime di una religione che li considera subumani e di una società rurale che li tratta praticamente da schiavi. Qualche speranza viene dalla nuova generazione di attivisti, decisi a combattere utilizzando le vie legali. E nei contesti urbani, più anonimi e pragmatici, le differenze di casta sono più sfumate. Ma finché non comparirà un altro leader come Ambedkar, o finché l'Induismo non cesserà di influenzare in modo così pervasivo la politica e l'applicazione delle leggi, la condizione degli intoccabili rimarrà una vergogna.

Un cambiamento radicale, se e quando avverrà, sarà traumatico e quasi certamente violento. È probabile che si propaghi lentamente, da un villaggio all'altro, e che nasca in ciascun villaggio con un atto di sfida. Come quello compiuto da Babulal Bairwa, un proprietario terriero intoccabile di Chakwara, un villaggio del Rajasthan. Una mattina, Bairwa ha deciso di fare un bagno nello stagno del villaggio, vietato agli intoccabili. La sera stessa, una folla ha circondato la sua casa minacciando di ucciderlo. Bairwa ha denunciato il fatto alla polizia e a un'organizzazione per i diritti umani. Adesso non si sposta mai da solo, nel timore di essere aggredito; ma spera che, in seguito alla sua battaglia legale, lo stagno verrà aperto a tutte le caste. Nel frattempo cerca di continuare la sua vita. "Sono pulito. Non fumo, non bevo, non mangio carne. Lavoro sodo. Mi comporto sempre bene. Perché sono intoccabile?".
Perché è nato così. Centosessanta milioni di indiani scontano questa condanna a vita.

(National Geographic Italia giugno 2003)





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