giovedì 21 marzo 2013

I figli della mezzanotte dal 28 Marzo nelle sale italiane :)

Il 28 settembre esce, finalmente, anche in Italia il film della regista indiana, ora residente in Canada, Deepa Mehta. Il film è tratto dall' omonimo romanzo di Salman Rushdie, scrittore indiano neutralizzato britannico, uno dei capostipiti della letteratura indiana in lingua inglese, la letteratura  dei cosidetti NRI (Not Resident Indian).
Di seguito vi propongo un' intervista realizzata dal quotidiano La Repubblica a Salman Rushdie che parla del film in uscita, del suo ruolo di sceneggiatore, del libro da cui è tratto e delle sue fonti di ispirazione e poi  continua parlando dei suoi progetti futuri.
Buona lettura e mi raccomando andate a vedere questo film :)

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/18/il-cinema-di-rushdie-io-gangster-in.html?ref=search :

ROMA Salman Rushdie ha le gote arrossate, una giacca scozzese troppo grande e l' aria serena. Accompagna I figli della mezzanotte, che è diventato un film (in sala il 28 marzo per Videa) di cui ha scritto la sceneggiatura. Una storia epica e magica in cui le esistenze di giovani nati nella mezzanotte del 15 agosto 1947 (quando l' India dichiara la sua indipendenza dalla Gran Bretagna) s' intrecciano con la grande Storia. «Molti miei libri sono un atto d' amore per l' India, ma questo l' ho scritto quando ero giovane e alla ricerca di me stesso e del rapporto con le mie origini. Sì, è stato scritto con passione, la stessa con cui ho fatto il film». Perché proprio ora? «Dopo qualche tentativo fallito avevo rinunciato. Poi, durante una cena a Toronto con la regista Deepa Mehta lei mi chiede "Chi ha i diritti perI figli della mezzanotte ?" Rispondo: "Io". E lei: "Posso farlo?". Così abbiamo iniziato. Com' è stato trasformare il libro in sceneggiatura? «Ho potuto farlo solo perché l' avevo scritto trent' anni fa. Avevo la giusta distanza, da vecchio scrittore che guarda al giovane se stesso. È stato come rivisitare me stesso da un altro punto della vita». Il film punta sul realismo magico. «Quando scrissi il libro ero influenzato da Fellini, da film come I vitelloni e Amarcord, da quel suo prendere vite ordinarie rendendole quasi mitologiche. Deepa invece ha pensato a Ugetsu di Mizoguchi, in cui la donna fantasma si comporta come una persona reale. Cosìi nostrii figli della mezzanotte appaiono e scompaiono, ma quando sono presenti sono reali». Le recensioni del film sono state miste. «Sì. Non è un film perfetto ma non poteva essere fatto meglio. E il pubblico ha reagito bene ovunque. Nelle città indiane è tutto esaurito da gennaio. All' anteprima al festival di Kerala nella scena in cui finisce la fase repressiva di Indira Gandhi e la mia voce narrante dice che "l' emergenza è finita" il pubblico ha festeggiato. In Pakistan il film nonè uscito: lì non pubblicano niente di mio. O di nessun altro». Quando è nato il suo amore per il cinema? «Sono cresciuto a Bombay che è la capitale del cinema. Da bimbo avevo due zie attrici e uno zio sceneggiatore. Allora il cinema occidentale era più presente di oggi, ogni studio hollywoodiano aveva la propria sala, vedevamo i film in contemporanea con l' Occidente.E poi da universitario in Inghilterra a fine anni Sessanta ho vissuto un momento i cui ogni settimana usciva un capolavoro francese, italiano, giapponese». Il cinema ha influenzato la sua scrittura? «Almeno quanto la letteratura. Satyajit Ray, Fellini, Buñuel. E Godard: in sala ridevo ai suoi film più divertenti e venivo zittito da cineasti seriosi. Ho sempre amato il cinema. Ho scritto un libro su Il Mago di Oz, ho lavorato come produttore, sono nell' organizzazione del festival di Telluride. Ora che ci penso è strano fare il mio primo film a sessantacinque anni». Continuerà? «Non adatterò più un mio libro. Ma vorrei scrivere una sceneggiatura originale. Se trovo il regista giusto...». Il suo libro biografico Joseph Anton? «Ci sono due grandi produzioni che vogliono seriamente fare il film della mia vita. Ma stavolta non voglio essere coinvolto. Ho speso gli ultimi quattro anni a fare l' autobiografia e il mio film. Ora devo pensare ad altro, e voglio decisamente uscire da me stesso. Sono in fase di gestazione, è quella più creativa. Sarà un romanzo, perché dal 2007 non scrivo un romanzo per adulti». E la carriera da attore? «Mi piacerebbe. In Bridget Jones ho fatto una versione comica di me stesso, ma lo puoi fare solo una volta. Se mi chiamasse Tarantino andrei di corsa: lo adoro. Deepa ha scritto un divertente gangster film ambientato nella grande comunità sikh in Canada. La mafia sikh: droga, estorsione, prostituzione, le solite cose. Una guerra tra due capimafia indiani a Vancouver: uno è bello e giovane come una star di Bollywood, l' altro è bastardo diabolico, un padrino alla Marlon Brando. Io faccio il vecchio bastardo». Ora che gira liberamente, che bilancio fa di quel periodo drammatico della fatwa? «Per il mondo dell' arte la condanna a morte di uno scrittore è stato un grande shock. Ma una delle cose straordinarie che ha prodotto è che ha lavorato con molta potenza sulle menti di altri artisti». E dal punto di vista personale? «Ho imparato molto. Ho incontrato i grandi leader della terra. Anche se sei in una terribile situazione quando sei uno scrittore c' è una piccola voce dentro di te che ti dice "guarda che questa è una fantastica situazione, ricordatela".E poi ho capito che da solo non ce l' avrei fatta, ne sono uscito perché con me erano in tanti: parenti, amici, editori, traduttori, lettori. C' è stata una battaglia dell' amore contro l' odioe la notiziaè che le forze del male non hanno vinto». In quel periodo è nata la sua amicizia con Umberto Eco. «Fu dolcissimo. Avevo stroncato il suo Pendolo di Focault. Ci conoscemmo a un meeting a Parigi. Mi venne incontro a braccia aperte "sono bullshit Eco". Siamo diventati amici io, lui e Vargas Llosa. Eco ci ha battezzato i tre moschettieri. Perché io avevo stroncato Eco, Umberto aveva criticato Mario perché era di destra, Llosa aveva criticato me perché troppo di sinistra. Siamo diventati un trio inseparabile». E qual è il suo ricordo migliore di Hollywood? «Il ricordo più bello è anche quello che ha stroncato un mio futuro con l' Academy. Alla festa del dopo Oscar in cui fu premiato Robert Altman alla carriera, lo vidi in un angolo, con la statuetta in mano, stanco e sperduto. Andai da lui e gli dissi: "Bob, posso tenerti l' Oscar?". E lui: "Porta male: se prendi l' Oscar di un altro non lo vincerai mai". Io dissi "Vabbè, dammelo lo stesso", e lo presi. Era molto pesante».

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