10 motivi per visitare Chennai dal travel blog di un' escursionista indiana.
Qui di seguito potrete leggere il suo racconto. Buona lettura :)
http://www.lakshmisharath.com/2014/08/21/ten-reasons-visit-chennai/
Etichette
- Festività Indiane (14)
- Cinema (12)
- musica indiana (11)
- Donne in India (8)
- Letteratura (6)
- Lingua (5)
- Storia (4)
- cucina (4)
- Viaggi (3)
- Società (2)
- Spiritualità (2)
- Archeologia e Arte dell' India (1)
- Danza Indiana (1)
martedì 2 settembre 2014
Toor dal secondo la ricetta di Manjula :)
Toor dal
Qui di seguito potrete trovare il link per visualizzare la ricetta e vedere il video dell' esecuzione.
Buon appetito :)
http://www.manjulaskitchen.com/2007/02/16/toor-dal/
Qui di seguito potrete trovare il link per visualizzare la ricetta e vedere il video dell' esecuzione.
Buon appetito :)
http://www.manjulaskitchen.com/2007/02/16/toor-dal/
lunedì 21 luglio 2014
L'India che vorrei-Arundhati Roy
Qui di seguito potrete leggere un interessante articolo sulla scrittrice indiana Arundhati Roy e la sua India:
http://d.repubblica.it/attualita/2014/06/13/news/arundhati_roy_intervista_storia-2177565/?ref=HRLV-9
http://d.repubblica.it/attualita/2014/06/13/news/arundhati_roy_intervista_storia-2177565/?ref=HRLV-9
L'India che vorrei
Per Arundhati Roy, romanziera famosa e
saggista di battaglia, il grande nemico è il sistema delle caste. «La
violenza sulle donne e le ingiustizie peggiori nascono da lì. Anche se a
Bollywood va di moda scordarlo»
di Raimondo Bultrini
Questa orribile storia dell’Uttar Pradesh riguarda solo due su migliaia
di ragazze vittime di analoghe forme di violenza. Il pensiero che mi
rende cieca di rabbia è che le ragazze vengono violentate perché sono
dalit, cioè Intoccabili, perché sono Kashmire o del Manipur e anche
perché sono ragazze, che siano povere e indifese, o moderne e quindi
“fuori controllo”». Li hanno presi, questa volta, gli assassini che
hanno violentato e impiccato a un albero le due ragazzine in un
villaggio, e nell’India di oggi e di sempre, neppure questo era
scontato. Arundhati Roy, la scrittrice indiana che è appena stata
nominata dal Time tra le cento persone più influenti dell’anno (assieme a
Obama, Beyoncé e il Papa), seduta in un caffè di Khan Market a Delhi,
col sottofondo no stop di canzoni dei Beatles, va diritto al cuore
della più tragica contraddizione del Paese dove il bollettino
quotidiano degli stupri e delle uccisioni sembra inarrestabile: «Io le
liste dei giornali internazionali sulle personalità influenti faccio
davvero fatica a prenderle sul serio. Perché l’India vive in molti
secoli simultaneamente, così qui trovano voce alcune tra le donne piu
potenti e riconosciute del mondo, persone davvero libere come me, - non
ho false modestie - o Medha Patkar o Vandana Shiva, e allo stesso
tempo un enorme numero di donne incontra un destino tragico, a
cominciare dai milioni di bambine uccise per feticidio o per fame e
abbandono».
Al centro del lacerante paradosso, Arhundati Roy torna a denunciare, come in forma di romanzo ha fatto fin dal suo best seller Il dio delle piccole cose, il sistema delle caste: «In una società violenta come la nostra, dove la sopraffazione è istituzionalizzata nel principio di Intoccabilità, per un uomo di casta superiore violentare una dalit non è mai stato un problema, in questo caso le donne degli Intoccabili non sono state mai intoccabili». E da lì riparte anche nel suo ultimo libro Il Dottore e il Santo, mettendo questa volta polemicamente in discussione anche un mito assoluto dell’India del Novecento, il Mahatma Gandhi, contrapposto «eticamente e moralmente» alla speciale figura di “intellettuale anti-caste” che fu suo contemporaneo e avversario: B.R. Ambedkar, economista, filosofo, leader degli Intoccabili dalit e giurista che nel secolo scorso ha redatto la Costituzione moderna. Restituendo ad Ambedkar il posto che a suo dire «gli spetta nella storia» e contestando a Gandhi la tolleranza verso la tradizione induista, Roy si ritrova ancora una volta sotto il fuoco incrociato delle polemiche. C’è abituata, da quando nel 1997 Il dio delle piccole cose, pubblicato in 21 Paesi, fu denunciato per le scene di sesso ritenute “offensive” tra la nobile Ammu, la protagonista, e il dalit Velutha, nonché dai capi del governo e del partito comunista del Kerala per i suoi ritratti di leader “rossi” di alta casta e bassa moralità sociale. Quando lo stesso anno quel romanzo vinse il prestigioso Booker Prize lei, radiosa trentacinquenne catapultata ai vertici della letteratura contemporanea, spiegò che non intendeva essere «solo una graziosa signora che scrive libri».
E accantonata la narrativa - «temporaneamente», precisa come tutte le volte che da allora glielo chiedono, annunciando adesso che sta «lavorando a un secondo romanzo» - è diventata la più famosa agitatrice, ambientalista radicale e no global del Paese, attirandosi attacchi ancora più violenti. Tre anni fa la presentazione del suo saggio Broken Republic (in italiano In marcia coi ribelli, Guanda), che conteneva il reportage su un viaggio nelle aree maoiste e racconti dal Kashmir islamico, fu boicottata da folle furiose di filo-governativi che presero anche a sassate la sua casa e le costò denunce per sedizione e richieste d’arresto. In cella c’è poi finita davvero per due giorni, dopo una manifestazione contro la diga sul fiume Narmada.
Il suo nuovo saggio è una introduzione alla più dura e controversa opera di Ambedkar, dal significativo titolo L’eliminazione delle caste. Perché ha scelto quel testo? «Crescendo sono sempre stata acutamente consapevole dell’ingiustizia del sistema delle caste. Credo sia ovvio per chiunque abbia letto il mio romanzo. Ma le pagine di Ambedkar fanno capire il problema storicamente, politicamente e teoricamente. Ecco perché sono così importanti, anche se sfortunatamente ben pochi hanno avuto finora questo volume sugli scaffali».
Il libro è uscito nel pieno della campagna elettorale che ha visto la vittoria del fondamentalista hindu Narendra Modi. «Il nuovo premier è l’espressione di un’ideologia non dissimile da quella del progressista Congresso, entrambi figli di una cultura elitaria e totalitaria al servizio del grande capitale».
Ma lei va oltre, accomunando le idee di Modi a quelle del Mahatma in materia di religione e società. Un’eresia per quanti considerano Gandhi agli antipodi della filosofia della destra hindu. «Non era mia intenzione dissacrare una figura tanto amata per il gusto di andare controcorrente. Durante la ricerca su Ambedkar ho riletto gli scritti e le citazioni di Gandhi su ogni aspetto che avesse a che fare con il tema delle caste, e sono rimasta allibita dalle coincidenze. Modi ha usato perfino le stesse parole del Mahatma per spiegare perché per esempio, il bhangi - ovvero il membro della categoria di pulitori di fogne - ideale non dovrebbe aspirare a un gradino più alto nella scala sociale degli uomini, ma guadagnarsi una vita migliore nell’aldilà, svolgendo il suo mestiere ancestrale con umiltà e spirito di servizio. Nell’introduzione al libro di Ambedkar, che a onor del vero Gandhi lesse e difese dalla censura pur non condividendolo, io riporto numerosi scritti dove il Mahatma giustifica un sistema che ha creato e crea enorme sofferenza e indicibili ingiustizie. Scriveva: “Se la società induista è stata capace di resistere, è perché si fonda sul sistema di caste...Distruggerlo e adottare il sistema di società occidentale europea significa abbandonare il principio di occupazione ereditaria che è l’anima del sistema di caste. Il principio ereditario è un principio eterno...”».
Resta davvero “eterno” anche nell’India di oggi? «Oggi per molti intellettuali specialmente di sinistra dire che le caste non esistono è perfino una cosa carina, progressista, e non vedi questi temi trattati nei film di Bollywood. Sono diventati invisibili. Eppure i Sottocasta, Intoccabili, Inavvicinabili, o comunque vengano chiamati gli “impuri” dell’India, formano la gran massa degli 800 milioni di poveri che sopravvivono con meno di 20 rupie, neanche mezzo dollaro, al giorno. Anche il legame con la violenza contro le donne è evidente: più di 1500 donne dalit sono state violentate nell’anno dello stupro sull’autobus di Delhi, nel 2012, e 600 dalit sono stati uccisi per motivi legati alla loro casta. E anche in Kashmir l’esercito che violenta è parte dello status quo, come in Manipur, dove Irom Sharmila sta digiunando senza successo da 13 anni contro l’impunità dell’esercito e la legge che gliela permette».
Ma se ne può attribuire a Gandhi una responsabilità? «Io mi sono domandata come la dottrina gandhiana della non violenza e satyagraha potesse adagiarsi così confortevolmente sulle fondamenta di un sistema divisivo che si regge solo sulla minaccia e l’applicazione permanente della violenza. La dominazione di casta su base religiosa e di mestiere come un tempo, bramini, Yadav, Jat, eccetera, è stata sostituita dal moderno concetto di nazione hindu e di razza hindu, da quando con le nuove idee di “rappresentanza” i numeri, il consenso della popolazione, sono diventati importanti alle urne. E in cambio di voti alle caste inferiori e a quanti si erano convertiti all’Islam, al Sikhismo o al cristianesimo per sfuggire allo stigma della propria casta si offrono posti riservati negli impieghi e nelle scuole. Non a caso il tentativo di Ambedkar di far votare separatamente i dalit per dotarli di propri organi di rappresentanza, fu ostacolato fermamente proprio da Gandhi, che iniziò uno sciopero della fame seguito da tutta l’India con trepidazione. E quando vicino a Pune migliaia di contadini espropriati delle loro terre bloccarono i lavori in una miniera degli industriali Tata, che distruggeva il loro ambiente ancestrale, proprio il Mahatma li invitò a desistere. Ci sono altri esempi nel libro, tratti da vicende note, che riporto non per screditare la figura di Gandhi, ma per invitare quanti hanno bisogno di un santo a vederlo almeno nella sua interezza».
Tornando a lei, ricevendo per il Il Dottore e il Santo il premio Samata Ratna, che di solito va scrittori dalit, ha detto di preferirlo perfino al Booker Prize. «C’era stato qualcuno che mi aveva contestato il diritto di parlare di Ambedkar in quanto non-dalit (sua madre è cristiana siriana, il padre hindu di alta casta, ndr). Per questo il riconoscimento mi ha particolarmente toccato.
Uno degli aspetti meno noti della sua vita è il periodo passato in Italia, quando studiava da architetto restauratore, ma già voleva diventare scrittrice. «Ho passato sei mesi in Italia, soprattutto a Firenze. Ma l’Italia ha avuto una profonda influenza su di me già molto prima di atterrare a Roma. Tra i miei più cari amici c’era Carlo Buldrini, scrittore, architetto e giornalista che viveva qui in India quando avevo 17 anni. È stato lui a ispirare in molti modi il mio modo attuale di pensare, la scelta di prendere il mondo a modo mio, respingendo il ricatto di chi sostiene che così si turba la pace».
Letterata e militante
1961 Nasce il 24 novembre 1961. Suo padre era un hindu di alta casta, manager di una piantagione di tè del Bengala, della tradizione di sacerdoti bramini che insegnano e praticano i Veda. La madre, una cristiana di fede siriana, proveniente da una famiglia che cambiò religione per sfuggire al sistema religioso di discriminazioni dell’induismo, era attivista femminista in Kerala.
1963-1983 I genitori divorziano quando ha due anni e cresce in Kerala con il fratello e la madre, che apre e dirige una scuola. Dopo il diploma si laurea in architettura a Delhi, dove incontra il compagno di studi Gerard de Cunha. La coppia di trasferisce per qualche anno a Goa.
1984-1996 Tornata a Delhi, lavora per l’Istituto nazionale urbanistico e incontra il regista indipendente Pradip Krishen, che le offre una parte nel suo primo film di successo, Massey Sahib. Si sposano e scrivono insieme serie tv e film, mentre dal 1992 Arundhati mette mano a quello che diventerà il suo best seller.
1997 Pubblica Il dio delle piccole cose, storia semiautobiografica (la protagonista Ammu è in parte ispirata alla madre) che intreccia una storia d’amore con la critica radicale del sistema delle caste in India. Clamoroso successo internazionale tradotto in 21 lingue, vince il Booker Prize.
1998-2009 Mette da parte il lavoro di narratrice e negli anni successivi pubblica una decina di saggi politici e pamphlet polemici, pubblicati anche in italiano da Guanda, mentre milita appassionatamente sul fronte delle principali proteste e controversie indiane (la diga di Narmada, l’autonomia del Kashmir, il nucleare, l’occupazione delle terre in Kerala, la lotta alla corruzione) e internazionali (contro la guerra americana in Afghanistan e in Iraq).
2010-2014 Con il saggio Broken Republic (In marcia con i ribelli, 2012) denuncia l’escalation nella repressione militare del movimento maoista Naxalita, con l’ultimo saggio, Il Dottore e il Santo, una lunga presentazione di L’annientamento delle caste, scritto nel 1936 dal Padre della Costituzione indiana B.R. Ambekdar, attacca le ambiguità di Gandhi sul tema, tornando al centro di infuocate polemiche.
Al centro del lacerante paradosso, Arhundati Roy torna a denunciare, come in forma di romanzo ha fatto fin dal suo best seller Il dio delle piccole cose, il sistema delle caste: «In una società violenta come la nostra, dove la sopraffazione è istituzionalizzata nel principio di Intoccabilità, per un uomo di casta superiore violentare una dalit non è mai stato un problema, in questo caso le donne degli Intoccabili non sono state mai intoccabili». E da lì riparte anche nel suo ultimo libro Il Dottore e il Santo, mettendo questa volta polemicamente in discussione anche un mito assoluto dell’India del Novecento, il Mahatma Gandhi, contrapposto «eticamente e moralmente» alla speciale figura di “intellettuale anti-caste” che fu suo contemporaneo e avversario: B.R. Ambedkar, economista, filosofo, leader degli Intoccabili dalit e giurista che nel secolo scorso ha redatto la Costituzione moderna. Restituendo ad Ambedkar il posto che a suo dire «gli spetta nella storia» e contestando a Gandhi la tolleranza verso la tradizione induista, Roy si ritrova ancora una volta sotto il fuoco incrociato delle polemiche. C’è abituata, da quando nel 1997 Il dio delle piccole cose, pubblicato in 21 Paesi, fu denunciato per le scene di sesso ritenute “offensive” tra la nobile Ammu, la protagonista, e il dalit Velutha, nonché dai capi del governo e del partito comunista del Kerala per i suoi ritratti di leader “rossi” di alta casta e bassa moralità sociale. Quando lo stesso anno quel romanzo vinse il prestigioso Booker Prize lei, radiosa trentacinquenne catapultata ai vertici della letteratura contemporanea, spiegò che non intendeva essere «solo una graziosa signora che scrive libri».
E accantonata la narrativa - «temporaneamente», precisa come tutte le volte che da allora glielo chiedono, annunciando adesso che sta «lavorando a un secondo romanzo» - è diventata la più famosa agitatrice, ambientalista radicale e no global del Paese, attirandosi attacchi ancora più violenti. Tre anni fa la presentazione del suo saggio Broken Republic (in italiano In marcia coi ribelli, Guanda), che conteneva il reportage su un viaggio nelle aree maoiste e racconti dal Kashmir islamico, fu boicottata da folle furiose di filo-governativi che presero anche a sassate la sua casa e le costò denunce per sedizione e richieste d’arresto. In cella c’è poi finita davvero per due giorni, dopo una manifestazione contro la diga sul fiume Narmada.
Il suo nuovo saggio è una introduzione alla più dura e controversa opera di Ambedkar, dal significativo titolo L’eliminazione delle caste. Perché ha scelto quel testo? «Crescendo sono sempre stata acutamente consapevole dell’ingiustizia del sistema delle caste. Credo sia ovvio per chiunque abbia letto il mio romanzo. Ma le pagine di Ambedkar fanno capire il problema storicamente, politicamente e teoricamente. Ecco perché sono così importanti, anche se sfortunatamente ben pochi hanno avuto finora questo volume sugli scaffali».
Il libro è uscito nel pieno della campagna elettorale che ha visto la vittoria del fondamentalista hindu Narendra Modi. «Il nuovo premier è l’espressione di un’ideologia non dissimile da quella del progressista Congresso, entrambi figli di una cultura elitaria e totalitaria al servizio del grande capitale».
Ma lei va oltre, accomunando le idee di Modi a quelle del Mahatma in materia di religione e società. Un’eresia per quanti considerano Gandhi agli antipodi della filosofia della destra hindu. «Non era mia intenzione dissacrare una figura tanto amata per il gusto di andare controcorrente. Durante la ricerca su Ambedkar ho riletto gli scritti e le citazioni di Gandhi su ogni aspetto che avesse a che fare con il tema delle caste, e sono rimasta allibita dalle coincidenze. Modi ha usato perfino le stesse parole del Mahatma per spiegare perché per esempio, il bhangi - ovvero il membro della categoria di pulitori di fogne - ideale non dovrebbe aspirare a un gradino più alto nella scala sociale degli uomini, ma guadagnarsi una vita migliore nell’aldilà, svolgendo il suo mestiere ancestrale con umiltà e spirito di servizio. Nell’introduzione al libro di Ambedkar, che a onor del vero Gandhi lesse e difese dalla censura pur non condividendolo, io riporto numerosi scritti dove il Mahatma giustifica un sistema che ha creato e crea enorme sofferenza e indicibili ingiustizie. Scriveva: “Se la società induista è stata capace di resistere, è perché si fonda sul sistema di caste...Distruggerlo e adottare il sistema di società occidentale europea significa abbandonare il principio di occupazione ereditaria che è l’anima del sistema di caste. Il principio ereditario è un principio eterno...”».
Resta davvero “eterno” anche nell’India di oggi? «Oggi per molti intellettuali specialmente di sinistra dire che le caste non esistono è perfino una cosa carina, progressista, e non vedi questi temi trattati nei film di Bollywood. Sono diventati invisibili. Eppure i Sottocasta, Intoccabili, Inavvicinabili, o comunque vengano chiamati gli “impuri” dell’India, formano la gran massa degli 800 milioni di poveri che sopravvivono con meno di 20 rupie, neanche mezzo dollaro, al giorno. Anche il legame con la violenza contro le donne è evidente: più di 1500 donne dalit sono state violentate nell’anno dello stupro sull’autobus di Delhi, nel 2012, e 600 dalit sono stati uccisi per motivi legati alla loro casta. E anche in Kashmir l’esercito che violenta è parte dello status quo, come in Manipur, dove Irom Sharmila sta digiunando senza successo da 13 anni contro l’impunità dell’esercito e la legge che gliela permette».
Ma se ne può attribuire a Gandhi una responsabilità? «Io mi sono domandata come la dottrina gandhiana della non violenza e satyagraha potesse adagiarsi così confortevolmente sulle fondamenta di un sistema divisivo che si regge solo sulla minaccia e l’applicazione permanente della violenza. La dominazione di casta su base religiosa e di mestiere come un tempo, bramini, Yadav, Jat, eccetera, è stata sostituita dal moderno concetto di nazione hindu e di razza hindu, da quando con le nuove idee di “rappresentanza” i numeri, il consenso della popolazione, sono diventati importanti alle urne. E in cambio di voti alle caste inferiori e a quanti si erano convertiti all’Islam, al Sikhismo o al cristianesimo per sfuggire allo stigma della propria casta si offrono posti riservati negli impieghi e nelle scuole. Non a caso il tentativo di Ambedkar di far votare separatamente i dalit per dotarli di propri organi di rappresentanza, fu ostacolato fermamente proprio da Gandhi, che iniziò uno sciopero della fame seguito da tutta l’India con trepidazione. E quando vicino a Pune migliaia di contadini espropriati delle loro terre bloccarono i lavori in una miniera degli industriali Tata, che distruggeva il loro ambiente ancestrale, proprio il Mahatma li invitò a desistere. Ci sono altri esempi nel libro, tratti da vicende note, che riporto non per screditare la figura di Gandhi, ma per invitare quanti hanno bisogno di un santo a vederlo almeno nella sua interezza».
Tornando a lei, ricevendo per il Il Dottore e il Santo il premio Samata Ratna, che di solito va scrittori dalit, ha detto di preferirlo perfino al Booker Prize. «C’era stato qualcuno che mi aveva contestato il diritto di parlare di Ambedkar in quanto non-dalit (sua madre è cristiana siriana, il padre hindu di alta casta, ndr). Per questo il riconoscimento mi ha particolarmente toccato.
Uno degli aspetti meno noti della sua vita è il periodo passato in Italia, quando studiava da architetto restauratore, ma già voleva diventare scrittrice. «Ho passato sei mesi in Italia, soprattutto a Firenze. Ma l’Italia ha avuto una profonda influenza su di me già molto prima di atterrare a Roma. Tra i miei più cari amici c’era Carlo Buldrini, scrittore, architetto e giornalista che viveva qui in India quando avevo 17 anni. È stato lui a ispirare in molti modi il mio modo attuale di pensare, la scelta di prendere il mondo a modo mio, respingendo il ricatto di chi sostiene che così si turba la pace».
Letterata e militante
1961 Nasce il 24 novembre 1961. Suo padre era un hindu di alta casta, manager di una piantagione di tè del Bengala, della tradizione di sacerdoti bramini che insegnano e praticano i Veda. La madre, una cristiana di fede siriana, proveniente da una famiglia che cambiò religione per sfuggire al sistema religioso di discriminazioni dell’induismo, era attivista femminista in Kerala.
1963-1983 I genitori divorziano quando ha due anni e cresce in Kerala con il fratello e la madre, che apre e dirige una scuola. Dopo il diploma si laurea in architettura a Delhi, dove incontra il compagno di studi Gerard de Cunha. La coppia di trasferisce per qualche anno a Goa.
1984-1996 Tornata a Delhi, lavora per l’Istituto nazionale urbanistico e incontra il regista indipendente Pradip Krishen, che le offre una parte nel suo primo film di successo, Massey Sahib. Si sposano e scrivono insieme serie tv e film, mentre dal 1992 Arundhati mette mano a quello che diventerà il suo best seller.
1997 Pubblica Il dio delle piccole cose, storia semiautobiografica (la protagonista Ammu è in parte ispirata alla madre) che intreccia una storia d’amore con la critica radicale del sistema delle caste in India. Clamoroso successo internazionale tradotto in 21 lingue, vince il Booker Prize.
1998-2009 Mette da parte il lavoro di narratrice e negli anni successivi pubblica una decina di saggi politici e pamphlet polemici, pubblicati anche in italiano da Guanda, mentre milita appassionatamente sul fronte delle principali proteste e controversie indiane (la diga di Narmada, l’autonomia del Kashmir, il nucleare, l’occupazione delle terre in Kerala, la lotta alla corruzione) e internazionali (contro la guerra americana in Afghanistan e in Iraq).
2010-2014 Con il saggio Broken Republic (In marcia con i ribelli, 2012) denuncia l’escalation nella repressione militare del movimento maoista Naxalita, con l’ultimo saggio, Il Dottore e il Santo, una lunga presentazione di L’annientamento delle caste, scritto nel 1936 dal Padre della Costituzione indiana B.R. Ambekdar, attacca le ambiguità di Gandhi sul tema, tornando al centro di infuocate polemiche.
54 gemme della letteratura indiana
Qui di seguito potrete leggere un interessante articolo sulle 54 gemme della narrativa indiana di tutti i tempi:
dal sito www.guidaindia.com
http://www.guidaindia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2937%3A54-gemme-della-narrativa-indiana-di-tutti-i-tempi&catid=56%3Aletture&Itemid=61
dal sito www.guidaindia.com
http://www.guidaindia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=2937%3A54-gemme-della-narrativa-indiana-di-tutti-i-tempi&catid=56%3Aletture&Itemid=61
54 Gemme della Narrativa indiana di tutti i tempi |
L'Arte, la storia e la cultura - Letture consigliate |
Domenica 22 Giugno 2014 16:34 |
Otto personalità di spicco del mondo della letteratura e dell'editoria indiane, dieci titoli per ognuno di loro e una selezione finale: le 54 principali opere della narrativa indiana di tutti i tempi secondo Amitava Kumar, Chiki Sarkar, David Davidar, Harish Trivedi, Jeet Thayil, Jerry Pinto, Ravi Singh e Sunil Sethi. HidustanTimes ha chiesto a otto personalità di primo piano del mondo dell'editoria, della letteratura e della critica di scegliere dieci opere di narrativa indiana di ogni tempo da loro considerate fondamentali. Una volta spuntate le ripetizioni e assemblate le otto selezioni, ne é risultato un elenco di 54 opere che naturalmente può risultare incompleto, soprattutto considerando che sono state selezionate solo opere accessibili all'intero Paese e dunque scritte direttamente in Inglese o a questo tradotte in seguito, così come del tutto opinabile, seppur frutto della scelta di alcuni tra i maggiori esperti indiani contemporanei del ramo, e magari persino deludente, non potendo come ovvio alcun elenco incontrare mai i gusti di tutti. Ma per chiunque desiderasse avvicinarsi per la prima volta al mondo della narrativa indiana, così come all'India stessa, si tratta senza dubbio di un ottimo punto di partenza, la cui validità é garantita dall'indianità e dalla competenza dei suoi selezionatori, mentre per gli Indofili già più esperti può sempre costituire un buon banco di prova per misurare le proprie conoscenze in materia ed eventualmente rappresentare una comoda vetrina da occhieggiare per colmare qualche imperdonabile lacuna, magari proprio durante le imminenti vacanze estive. Ecco dunque l'elenco delle opere prescelte dagli otto esperti, stilato in ordine alfabetico per autore, coi rispettivi titoli in Italiano, quando tradotti anche nella nostra lingua, o solo in originale, se ancora negletti dall'editoria italica (o semplicemente a me sfuggiti, s'intende): Abraham Verghese: Cutting For Stone, 2009 ( La porta delle lacrime, Mondadori 2010 ) Ahmed Ali: Twilight In Delhi, 1940 ( Crepuscolo a Delhi, Neri Pozza 2010 ) Akhil Sharma: An Obedient Father, 2000 ( Un padre obbediente, Einaudi 2001) Amit Chaudhuri: The Immortals, 2009 Amitav Ghosh: The Hungry Tide, 2005 ( Il paese delle maree, Neri Pozza 2005 ) Amitav Ghosh: The Shadow Lines, 1988 ( Le linee d'ombra, Einaudi 2000 ) Anita Desai: Fire On The Mountain, 1977 ( Fuoco sulla montagna, Einaudi 2006 ) Anita Desai: In Custody, 1984 ( In custodia, Einaudi 2000) Anita Desai: Baumgartner's Bombay, 1988) ( Notte e nebbia a Bombay, Einaudi 2007 ) Aravind Adiga: The White Tiger, 2008, ( La tigre bianca, Einaudi 2008) Arundhati Roy: The God Of Small Things, 1997 ( Il dio delle piccole cose, Guanda 1997 ) Aubrey Menen: The Fig Tree, 1959 Banabhatta: Kadambari (in Sanscrito, VII sec dC) tradotto all'Inglese da Padmini Rajappa, 2010 Bankim Chandra Chatterji: Anandamath (in Bengali, 1882) tradotto all'Inglese da Basanta Kumar Roy, 1992 Firdaus Kanga: Trying To Grow, 1991 ( Cercando di crescere, Serra e Riva 1991 ) GV Desani: All About H. Hatterr, 1948 Irwin Allan Sealy: The Trotter-Nama, A Chronicle, 1988 Jerry Pinto: Em And The Big Hoom, 2012 Kamala Markandaya: Nectar In A Sieve, 1954 ( Nettare in un setaccio, Feltrinelli 2000 ) Khushwant Singh: Train To Pakistan, 1956 ( Quel treno per il Pakistan, Marsilio 2002 ) Khushwant Singh: Delhi, 1990 ( Delhi, Neri Pozza 2002) Kiran Desai: The Inheritance Of Loss, 2006 ( Eredi della sconfitta, Adelphi 2007) Kiran Nagarkar: Cuckold, 1997 Kiran Nagarkar: Ravan & Eddie, 1994 ( Ravan & Eddie, Metropoli d'Asia 2009 ) Manil Suri: The Death Of Vishnu, 2001 ( La morte di Vishnu, Mondadori 2001 ) Manju Kapur: Difficult Daughters, 1998 ( Figlie difficili, Marsilio 2000 ) Mirza Hadi Ruswa: Umrao Jan Ada (in Urdu, 1893) tradotto all'Inglese da Khushwant Singh e MA Husaini, 1970 Mulk Raj Anand: Coolie, 1936 ( Munu, povero indiano, Rizzoli 1955 ) Munshi Premchand: Godan (in Hindi, 1936) tradotto all'Inglese da Gordon C Roadarmel, 1968 Munshi Premchand: Playground ( in Hindi, 1924) tradotto all'Inglese da Manju Jain, 2011 Namita Gokhale: Paro, Dreams Of Passion, 1984 O Chandu Menon: Indulekha (in Malayalam, 1889) tradotto all'Inglese da Anitha Devasia, 2005 OV Vijayan: The Legends Of Khasak ( in Malayalam, 1969) tradotto all'Inglese dall'autore nel 1994 Qurratulain Hyder: River Of Fire ( in Urdu, 1959) tradotto all'Inglese dall'autrice nel 1999 ( Fiume di fuoco, Neri Pozza 2009 ) Rahi Masoom Raza: The Feuding Families Of Village Gangauli ( in Urdu, 1966) tradotto all'Inglese da Gillian Wright, 1994 Raja Rao: Kanthapura, 1938 ( Kanthapura, Ibis 1994 ) Raja Rao: The Serpent And The Rope, 1960 RK Narayan: The English Teacher, 1945 ( L'insegnante d'Inglese, Guanda 2006 ) RK Narayan: The Financial Expert, 1952 ( Il mago della finanza, IlSole24Ore 2000 ) RK Narayan: The Guide, 1958 Rohinton Mistry: A Fine Balance, 1995 ( Un perfetto equilibrio, Mondadori 2006 ) Ruskin Bond: The Room On The Roof, 1956 ( La stanza sul tetto, Donzelli 2007 ) Salman Rushdie: Midnight's Children, 1980 ( I figli della mezzanotte, Mondadori 2007) Shashi Tharoor: The Great Indian Novel, 1989 ( Il grande romanzo dell'India, Frassinelli 1993 ) Shrilal Shukla: Raag Darbari (in Hindi, 1968) tradotto all'Inglese da Gillian Wright, 1991 Upamanyu Chatterjee: English, August, 1988 ( Ritratto del funzionario indiano da giovane, Rizzoli 2010) Upamanyu Chatterjee: Weight Loss, 2006 UR Ananthamurthy: Samskara (in Kannada, 1965) tradotto da AK Ramanujan, 1976 Vikram Chandra: Sacred Games, 2006 ( Giochi sacri, Mondadori 2007 ) Vikram Seth: The Golden Gate, 1988 ( Golden Gate, Fandango 2008 ) Vikram Seth: A Suitable Boy, 1995 ( Il ragazzo giusto, TEA 2001 ) VS Naipaul: The Enigma Of Arrival, 1987 ( L'enigma dell'arrivo, Mondadori 1988 ) Vyasa: The Mahabharata (in Sanscrito, VIII-IV sec a.C.) versione inglese di C Rajagopalachari, 1958 Yashpal: This Is Not That Dawn (in Hindi, 1958-60) tradotto all'Inglese da Anand, 2010 |
lunedì 13 gennaio 2014
Lohri- an agricultural winter festival
Oggi in alcune aree dell 'India si festeggia Lohri. Vi propongo a tal proposito questo articolo del Times of India che spiega le origini e le caratteristiche di tale festività.
http://timesofindia.indiatimes.com/lohri/eventcoverage/11338115.cms :
Lohri - an agricultural winter festival
Lohri is a fun filled festivity observed by the Punjabi community every
year in the month of January for a good harvest that carries cultural
and traditional significance. It is observed on the eve of the winter
solstice based on the belief that the Lohri night is the longest night
of the year. Numerous theories have been suggested pertaining to the
derivation of the term 'Lohri'. Many suggest that the festival derives
its name from Loi, wife of Saint Kabir. Whereas, some believe the name
'Lohri' has been originated from the word 'loh', an iron pan used for
preparing food.
Lohri festival best reflects the community's love for festival and
celebrations of exuberance. However, the celebration of Lohri is not
only restricted within the state of Punjab but also are observed
enthusiastically throughout Uttar Pradesh, Haryana, Delhi, Jammu and
Himachal Pradesh. According to the Hindu calendar, the Lohri 2014 will
be observed on Monday, January 13.
The Lohri festival is marked by a range of traditional exciting
activities such as lighting the ritualistic bonfire during the evening,
dancing on the beats of the dhol, traditional handmade dishes, singing
popular folklore around the bonfire and enjoying sumptuous feast. The
folklores is also an integral part of Lohri which is all about
expressing gratitude to the good harvest season and the natural elements
such as water, wind and fire. On this day, people remember Dulha Bhatti
- a famous legendary hero who helped the poor by robbing the rich, by
singing folklores.
Lighting the bonfire in Lohri symbolizes offering prayers to Lord Agni
(god of fire) to shower blessing on the land with abundance of crops and
prosperity. The Lohri feast includes popular traditional feast such as
makki-di-roti and sarson-da-saag.
For children, Lohri is the time of amusement and excitement. Early
morning they visit houses within their neighbourhood to collect the
Lohri 'loot' that usually includes traditional sweets, snacks (gajak,
rewri, til, moongphali and jaggery) and money.
Significance of Lohri is no more restricted to celebration only but also
implies a wonderful time for people in the community to rejoice and
rejuvenate themselves from their chore and unite to share some fun and
relive the cultural values. People exchange Lohri wishes to spread and
celebrates the spirit of festivity.
On the occasion many people send personalised Lohri greetings and fancy
Lohri gifts to their dear ones. The fascinating Lohri messages and
lovely Lohri SMS are also popular as unique ideas to send warm 'Happy
Lorhi' and mark the occasion as special.
giovedì 5 dicembre 2013
Napoli-India L'Arte della Felicità-Film
Questo film animato deve essere molto bello, non lo ho ancora visto ma già guardando il trailer me ne sono innamorat.
http://www.film.it/films/o/larte-della-felicita/:
Sotto un cielo plumbeo, tra i presagi apocalittici di una Napoli all'apice del suo degrado, Sergio, un tassista, riceve una notizia che lo sconvolge. Niente potrà più essere come prima. Ora Sergio si guarda allo specchio e quello che vede È un uomo di quarant'anni, che ha voltato le spalle alla musica e si È perso nel limbo della sua città. Il taxi diviene il microcosmo in cui si rinchiude per fuggire al suo mondo, ma dentro cui il mondo entra ed esce attraverso i suoi passeggeri. Mentre fuori imperversa la tempesta, l'auto comincia cosÌ ad affollarsi di ricordi, di speranze, di rimpianti, di nuove occasioni. Ora sa chi sono i passeggeri: sono anime, fantasmi, memorie, strade. Oppure sono messaggeri di un sole che nasce altrove e portano con sÈ la rivelazione di ciò che è oltre il confine del proprio parabrezza. Prima o poi la pioggia smetterà di cadere ed il cielo si aprirà. E da lì verrà la fine. O tornerà la musica
E' arrivato nelle sale italiane Lunchbox, opera prima del regista indiano Ritesh Batra
http://www.play4movie.com/it/News/-Lunchbox-arriva-nelle-sale-Italiane-1938 :
Lunchbox, opera prima del regista indiano Ritesh Batra, è il film che ha sedotto l'ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio del Pubblico alla Semaine de la Critique, arriva nelle sale italiane dal 28 novembre.
Interpretato da Irrfan Khan, Nimrat Kaur, Nawazuddin Siddiqui, il film racconta una delicata storia d'amore epistolare nella Mumbai dei nostri giorni.
Ila è una casalinga appassionata di cucina che spera, con le sue ricette saporite e speziate, di ridare un po' di vitalità al suo matrimonio. Saajan è un modesto impiegato a pochi mesi dalla pensione, che si vede recapitare sulla sua scrivania, inaspettatamente, tutte le mattine, il lunchbox che Ila amorevolmente prepara per il marito. Ila non sa che il suo lunchbox è finito sulla scrivania sbagliata: insospettita dalla mancanza di reazione del marito ai suoi manicaretti, infila nel porta-pranzo un biglietto, nella speranza di risolvere il mistero. Sarà l'inizio di un lungo scambio di messaggi tra Ila e Saajan che lentamente si trasformerà in un'affettuosa amicizia. Pian piano le loro lettere diventeranno brevi confessioni sulle loro solitudini, sulle loro paure, sui ricordi e sulle loro piccole gioie. Scriversi diventerà un modo per sentirsi vicini in una metropoli come Mumbai che spesso distrugge speranze e sogni. Pur rimanendo estranei, Ila e Saajan intrecciano una relazione virtuale che potrebbe compromettere le loro vite reali.
Stefania Primavera © Play4movie
http://www.unadonna.it/lifestyle/lunchbox-il-trailer-dal-successo-di-cannes-alle-sale-italiane/63126/#!63129 :
di Anna Invernizzi 22 novembre 2013
"Un film che suscita curiosità per diversi motivi: proviene da un circuito produttivo non certo al centro dell’attenzione come l’India, è un’opera prima di un giovane regista indiano, Ritesh Batra, e ha vinto nel corso della popolare rassegna francese dedicata al grande schermo il Premio speciale del Pubblico, che lo ha accolto con grande simpatia e ottimi riscontri. Un film diverso, che mette sì al centro un legame sentimentale, ma letto in maniera assolutamente nuova, attraverso un interessantissimo viaggio nella cultura e nella quotidianità dell’India e di una megalopoli come Bombai. Un film capace tuttavia di trasmettere sentimenti e stati d’animo universali e patrimonio di tutti, come il desiderio di felicità, la necessità del condividere, la sensazione del proprio limite e di quello degli altri e, perché no, la speranza di cambiare. Per questo Lunchbox ha colpito il pubblico di Cannes e promette di farlo anche con quello che si recherà nelle sale italiane."
"In India esiste una curiosa eppure assolutamente radicata tradizione, trasformatasi con il tempo in un vero e proprio business. Si tratta del quotidiano intreccio dei “dabba”, che in lingua marathi significa gavetta – in inglese Lunchbox appunto – e dei dabbawallahs, ovvero dei trasportatori di “dabbas”. Ogni giorno quasi 200.000 pasti caldi, ciascuno contenuto nel rispettivo pacchetto e ciascuno preparato in casa nelle abitazioni delle periferie residenziali, sono consegnate negli uffici del centro città da parte di circa 5000 trasportatori che, una volta consumati i cibi, restituiscono le dabbas vuote alle casalinghe. Un vero e proprio meccanismo di ristorazione aziendale unico al mondo".
http://www.unadonna.it/lifestyle/lunchbox-il-trailer-dal-successo-di-cannes-alle-sale-italiane/63126/#!63129 :
di Anna Invernizzi 22 novembre 2013
"Un film che suscita curiosità per diversi motivi: proviene da un circuito produttivo non certo al centro dell’attenzione come l’India, è un’opera prima di un giovane regista indiano, Ritesh Batra, e ha vinto nel corso della popolare rassegna francese dedicata al grande schermo il Premio speciale del Pubblico, che lo ha accolto con grande simpatia e ottimi riscontri. Un film diverso, che mette sì al centro un legame sentimentale, ma letto in maniera assolutamente nuova, attraverso un interessantissimo viaggio nella cultura e nella quotidianità dell’India e di una megalopoli come Bombai. Un film capace tuttavia di trasmettere sentimenti e stati d’animo universali e patrimonio di tutti, come il desiderio di felicità, la necessità del condividere, la sensazione del proprio limite e di quello degli altri e, perché no, la speranza di cambiare. Per questo Lunchbox ha colpito il pubblico di Cannes e promette di farlo anche con quello che si recherà nelle sale italiane."
L’incredibile tradizione della dabba
"In India esiste una curiosa eppure assolutamente radicata tradizione, trasformatasi con il tempo in un vero e proprio business. Si tratta del quotidiano intreccio dei “dabba”, che in lingua marathi significa gavetta – in inglese Lunchbox appunto – e dei dabbawallahs, ovvero dei trasportatori di “dabbas”. Ogni giorno quasi 200.000 pasti caldi, ciascuno contenuto nel rispettivo pacchetto e ciascuno preparato in casa nelle abitazioni delle periferie residenziali, sono consegnate negli uffici del centro città da parte di circa 5000 trasportatori che, una volta consumati i cibi, restituiscono le dabbas vuote alle casalinghe. Un vero e proprio meccanismo di ristorazione aziendale unico al mondo".
Un esperimento anche per gli indiani
"Un film singolare e coraggioso, anche perché, come lo stesso autore Ritesh Batra sottolinea, si colloca in modo piuttosto diverso tra i consueti canoni del cinema indiano, legato specialmente a pellicole di genere e in particolare ai popolari musical di Bollywood (parola nata dall’acronimo di Bombay+Hollywood) cui il pubblico accorre in massa. Un film, quindi, il cui target è internazionale, fuori dai confini indiani e, proprio per questo, capace di parlare a tutte le latitudini. E in più con l’interessante caratteristica di far conosce una cultura così diversa dalla nostra dentro dalla quale si scopre che il cuore dell’uomo è, invece, così intimamente uguale. Per questo vale la pena di vederlo".
Iscriviti a:
Post (Atom)