Girdharilal Maurya ha molti
peccati da scontare, insistono i suoi detrattori. Ha un karma negativo.
Perché mai sarebbe nato intoccabile, come i suoi avi, se non per
espiare le sue vite precedenti? E poi lavora il cuoio, e per la legge
induista chiunque tratti le pelli animali è impuro: è da evitare e
ingiuriare. È peccaminosa anche la sua indecente ricchezza. Insomma, chi
crede di essere questo intoccabile, che si azzarda a comprare un
pezzetto di terra nei dintorni del villaggio? E come ha osato rivolgersi
alla polizia, alzare persino la voce, reclamando l'accesso al nuovo
pozzo del villaggio? Ecco, quell'uomo ha avuto ciò che un intoccabile si
merita.
Una sera, mentre Maurya era in viaggio, otto uomini di una casta più elevata, quella dei
rajput,
hanno devastato la sua fattoria. Aperto un varco nella recinzione,
hanno rubato il trattore, picchiato la moglie e la figlia, incendiato la
casa. Il messaggio era chiaro: stà al posto tuo. Cioè al gradino più
basso della scala sociale. Girdharilal Maurya è poi fuggito con la
famiglia dal villaggio di Kharkada, nello Stato occidentale del
Rajasthan. Solo due anni dopo si è sentito abbastanza sicuro da tornare,
e soltanto perché alcuni
avvocati che si occupano di diritti umani hanno preso le sue difese, garantendogli una sia pur esile protezione.
"Li
vedo quasi ogni giorno", mormora Maurya, parlando dei suoi aggressori:
"Vanno in giro indisturbati". Ha accettato di vedermi solo dopo il
tramonto, nel cortile della sua casa. Vive assieme alla moglie
all'estremità meridionale del villaggio, come tutti gli altri
intoccabili. Il quartiere è a sfavore di vento rispetto alle case delle
famiglie di casta superiore, in modo che degli intoccabili non arrivi
nemmeno l'odore.
Maurya spiega che la causa contro i suoi aggressori
si trascina stancamente in tribunale. Ma cerca di mostrarsi ottimista.
Oggi, dice, gli intoccabili possono usare la pompa del pozzo, e, per la
prima volta nella storia del villaggio, un giovane intoccabile si è
iscritto all'università: suo figlio.
Ma quando ammette di avere
ancora paura, la sua voce sale di tono, e la moglie alza il volume della
radio per coprirla. "Il governo si rifiuta di affrontare problemi come
quello dei pozzi, perché, sostiene, il sistema delle caste è abolito per
legge. Beh, si guardi un po' intorno. Siamo trattati peggio degli
animali. È innaturale. Chiediamo solo il rispetto dei nostri diritti
umani". Alza ancora la voce, come per lanciare un'implorazione nella
notte: "Perché gli dei mi hanno fatto nascere in un Paese come questo?".
In
India, fin dalla nascita ogni indù è inserito nel sistema castale, che
stabilisce una gerarchia dei comportamenti sociali, fra le più antiche
esistenti al mondo. Radicato nella cultura indiana da 1500 anni, il
sistema si fonda su un assunto di base: tutti gli uomini sono diversi.
La gerarchia delle caste è spiegata da un antico mito: le principali categorie sociali, o
varna, emergono da un essere primordiale. Dalla bocca provengono i brahmani, sacerdoti e insegnanti; dalle braccia gli
kshatriya, re, nobili e guerrieri; dalle cosce i
vaisya, commercianti e artigiani; dai piedi, i
sudra, la massa dei lavoratori comuni. Ciascun
varna, a sua volta, è suddiviso in centinaia di caste e sottocaste, ordinate secondo una gerarchia.
Gli
achuta,
o intoccabili, costituiscono una quinta categoria. L'essere primordiale
non ne rivendica la paternità. Il concetto di fuoricasta è strettamente
legato a quello di "impurità". Esseri tanto contaminati da non meritare
alcun valore, tali da rendere impuri gli altri
varna anche
solo sfiorandoli con lo sguardo o con la propria ombra, e perciò
imbrigliati da regole severe per assicurarne l'isolamento nella
comunità. Tutta la loro vita è dominata dal pregiudizio, specie nelle
campagne, dove vivono tre quarti degli indiani.
Sono evitati,
insultati, banditi dai templi e dalle case delle caste superiori; nei
locali pubblici devono usare stoviglie separate. In casi estremi, ma non
troppo rari, vengono stuprati, bruciati vivi, linciati o uccisi a colpi
di arma da fuoco.
L'antica dottrina prevale sulla legge moderna. La costituzione indiana ha abolito le regole
del sistema castale, e ha decretato la parità degli intoccabili di fronte alla legge; ma l'Induismo,
la fede condivisa dall'80 per cento della popolazione detta legge nella quotidianità.
Il
sistema castale è considerato sacro e immutabile, e rinunciarvi
equivarrebbe a sovvertire l'ordine dell'universo. La dottrina del
karma
determina l'appartenenza a una casta: un intoccabile può generare
soltanto un figlio altrettanto intoccabile, condannato fin dal primo
vagito a una condizione di "impurità".
Eppure gli intoccabili non
hanno un aspetto diverso dagli altri indiani. La loro pelle è dello
stesso colore. Non vestono stracci, né hanno il corpo piagato. Camminano
per le stesse strade e frequentano le stesse scuole.
Tuttavia, è come se portassero sulla fronte un marchio indelebile. "È impossibile nascondere
la
propria casta", conferma Sukhadeo Thorat, docente universitario, uno
dei pochi intoccabili ad aver conseguito un dottorato in economia. "Si
può provare a mascherarla, ma alla fine, in un modo o nell'altro, ci si
tradisce sempre. Un indù non si sente mai del tutto sicuro se non
conosce l'origine della persona con cui ha a che fare. In un paio di
mesi al massimo, la casta salta fuori". Il cognome, l'indirizzo, il
linguaggio del corpo, sono altrettanti indizi: ma nessuno è tanto
decisivo quanto la professione.
Gli intoccabili fanno i "lavori
sporchi" necessari alla società: quelli che prevedono un contatto con il
sangue, gli escrementi, la sporcizia e le impurità del corpo, così come
sono codificate dalla legge induista.
Essi cremano i defunti,
sgombrano le latrine, tagliano i cordoni ombelicali, rimuovono dalla
strada le carogne, conciano le pelli, ripuliscono le fogne. Questi
mestieri passano di padre in figlio, e con loro la condizione di
intoccabile. Sono considerati impuri anche i tanti fuoricasta che
svolgono lavori "puliti", soprattutto come manodopera sottopagata nei
campi.
Qualcuno obietta che le forme di discriminazione più
aperte e brutali sono quasi del tutto scomparse, grazie a sporadiche
riforme attuate sia prima sia dopo il 1947, l'anno dell'indipendenza. È
indubbio che, almeno nella sfera pubblica, la condizione degli
intoccabili sia migliorata. Non sono poi troppo lontani i tempi in cui
essi venivano picchiati se la loro ombra sfiorava una persona di casta
superiore, costretti a portare dei campanelli per annunciare la loro
presenza, a munirsi di secchielli perché il loro sputo non contaminasse
il terreno, a non poter accedere a una scuola, né sedere su una panca
accanto a una persona di casta più elevata.
Secondo la
costituzione del 1950, agli intoccabili è riservata una quota di seggi
nel parlamento federale, pari alla loro percentuale sul totale della
popolazione: il 15 per cento.
Il sistema è esteso ai parlamenti statali, ai consigli di villaggio, alla pubblica amministrazione, ai corsi universitari.
Il
sistema delle quote è sempre stato difeso dai partiti di governo,
malgrado le proteste anche violente che ha suscitato. Nel 1981, nello
Stato del Gujarat, uno studente di casta elevata non fu ammesso
all'università per far posto a un intoccabile: seguì una rivolta che
durò 78 giorni. Molti posti riservati restano inutilizzati; migliaia di
fuoricasta, però, hanno trovato impiego nella vasta burocrazia indiana,
tanto che essi sono entrati a far parte della classe media.
Tuttavia
leggi e regolamenti non sono riusciti ad abbattere le fondamenta del
sistema castale. E questo in un Paese, l'India, che si propone come
esempio ai Paesi in via di sviluppo: la democrazia più popolosa al
mondo, potenza all'avanguardia nella produzione di software, di
satelliti per telecomunicazioni, di energia nucleare e armi atomiche.
Eppure fra i suoi cittadini conta ancora 160 milioni di intoccabili. Ho
trascorso in India un intero inverno, e quasi non passava giorno senza
la notizia di ragazzi sfigurati con l'acido, di donne violentate sotto
gli occhi del marito, o altri episodi simili. All'origine, c'era sempre
la stessa "provocazione": un intoccabile che non aveva saputo stare al
suo posto.
Il sistema castale ha il suo "manuale di istruzioni".
Le Leggi di Manu, compilate almeno 2000 anni fa da sacerdoti brahmani,
elencano le norme inviolabili per gli induisti: i cibi consentiti a
ciascuna casta, le regole matrimoniali, quelle sul denaro, la violenza,
l'igiene, le frequentazioni. "Manu è scolpito nel cuore di ogni indù",
afferma Umashankar Tripathy, un sacerdote brahmano che incontro a
Varanasi, la città santa bagnata dal Gange, meta di pellegrinaggi.
Seduto a gambe incrociate su una stuoia di paglia, Tripathy indossa il
tradizionale dhoti, un lungo telo avvolto attorno ai fianchi, sotto una
tunica abbottonata. L'abito è immacolato, le sue mani morbide come
guanti di pelle fina.
Il sacerdote si attiene alle parole di Manu, il
mitico progenitore degli uomini. Come brahmano, spiega, deve rispettare
il codice di purezza, alla base dell'organizzazione sociale. "Non bevo
alcol, non mangio carne né vegetali che crescono nel terreno, come lo
zenzero o la cipolla. La mia mente deve essere immacolata come i miei
vestiti". I veri brahmani, dice, non dovrebbero mai avere contatti con
gli intoccabili. "Non potrebbero toccare neanche i piedi di Gandhi".
Eppure il padre dell'indipendenza indiana oggi è venerato come un dio.
"Gandhi era un
vaisya: i brahmani sono superiori", conclude il sacerdote.
Secondo
gli insegnamenti di Manu, toccare una salma dopo i riti mortuari è uno
degli atti più contaminanti. Il compito di cremare i cadaveri è dunque
affidato alle caste di intoccabili, come quella dei
dom. Gli indù più devoti portano i loro morti a Varanasi, per farli cremare in vista del fiume sacro. I
dom lavorano sui
ghat,
le ripide scalinate scavate sulle rive del Gange. Sull'Harischchandra
Ghat, cercando di evitare gli sbuffi di fumo, osservo un dom che si
occupa della salma di un'anziana donna. Matru Choudhary, capo della
locale comunità dom, mi descrive le operazioni: "Occorrono tre ore
perché il corpo bruci completamente. A volte di meno, se c'è più legna.
Più ricca è la famiglia, più legna compra".
Un gruppo di uomini in
dhoti
bianco siede in silenzio sui gradini che sovrastano la pira. Sono i
parenti maschi della defunta. Per tradizione, le donne non sono ammesse
alle cremazioni, perché potrebbero piangere: le lacrime, come tutti i
fluidi corporei, sono considerate impure.
Gli uomini aspettano.
Sulla riva fangosa del fiume, due dom adolescenti attizzano la pira con
indifferenza, come badando al fuoco in cucina. Uno di loro, con un
bastone, spinge una gamba della donna nella catasta ardente. Due mucche
si riscaldano al fuoco.
Quando tutta la legna è ridotta in cenere,
uno dei dom ne estrae lo sterno della defunta, ancora intatto, e lo dà
al figlio maggiore, che lo getta nel Gange. Appena i parenti se ne
vanno, i ragazzi cominciano a correre sulla terra annerita dal fuoco,
con gli occhi levati verso un minuscolo aquilone rosso. "Più tardi
rastrelleremo le ceneri", m'informa Choudhary. "Con un po' di fortuna,
troveremo dei denti d'oro o degli orecchini da naso. Siamo autorizzati a
tenerli".
Ma quella dei
dom non è la casta più bassa. Al di sotto di loro vi sono i più umili tra gli spazzini, chiamati
bhangi,
pakhi o
sikkaliar
a seconda delle regioni: portano via le feci dalle latrine pubbliche,
puliscono i pozzi neri delle case private, e spazzano via dalle strade
gli escrementi degli animali. Nemmeno gli altri intoccabili accettano
cibo o bevande da loro.
Una mattina ad Ahmadabad, la città più
grande dello Stato occidentale del Gujarat, seguo cinque dei 10 mila
bhangi della città: sono incaricati di liberare un condotto fognario
intasato, in un quartiere di media borghesia. Indossano abiti comuni e
puliti. Si fermano accanto a un tombino, vicino a una moschea, e Dinesh
Parmar, un agile venticinquenne con una catena d'oro al collo, alza il
coperchio.
Dal buio schizzano veloci gli scarafaggi, mentre il puzzo
inonda la strada. Parmar esita un solo istante, poi si cala nel
tombino. Non indossa guanti né maschera antigas. Completamente immerso
nella cavità, prende a sollevare secchi di escrementi, uno dietro
l'altro, metodicamente, e a posarli
sulla strada. Accorrono sciami
di mosche. Poi l'uomo si ferma, stordito dal monossido di carbonio
esalato dalla fogna. A un cenno di assenso del caposquadra, Parmar esce
dal tombino: l'anno scorso, ad Ahmadabad, 30
bhangi sono morti avvelenati dal gas.
Parmar
si sposta verso un vicolo vicino, lasciando impronte brunastre sul
selciato. Si cala in diversi altri tombini, tirandone fuori grumi di
melma. Le donne si affacciano sulle porte di casa a guardare, con il
velo premuto sul naso, lamentandosi che anche i loro gabinetti sono
intasati. Dopo l'ultimo tombino, Parmar resta in silenzio, in piedi in
mezzo al vicolo, con le braccia e le gambe coperte di porcheria. Poi
chiede un po' d'acqua e sapone. Finalmente una delle donne si fa avanti,
gridando alle altre di vergognarsi. Parmar si spoglia in mezzo alla
strada e si lava con cura i vestiti, il corpo, i capelli.
"È il mio
destino. Non ho studiato, non troverò mai un altro lavoro", dice Parmar,
una volta ripulito. "In certi posti mi aiutano a lavarmi, in altri no,
ma nessuno, neanche i più caritatevoli, mi offre una tazza di tè".
Parmar ha una figlia. "La farò studiare", promette. "Se il fato sarà
propizio, troverà un lavoro migliore".
A volte accade che
indiani di casta superiore prendano coscienza e decidano di battersi per
abolire il concetto di intoccabilità. Fu lo stesso Mahatma Gandhi a
promuovere una delle prime e più accese campagne per sradicarlo. Nel suo
ashram, la comunità fondata nel 1915 ad Ahmadabad, Gandhi
accettò una famiglia di fuoricasta, e più tardi ne adottò la figlia,
scandalizzando protettori e seguaci.
In scritti e discorsi il Mahatma
implorò gli indiani affinché rifiutassero il concetto stesso di
impurità per nascita, e mettessero fine alla discriminazione contro gli
intoccabili. Nel suo
ashram tutti dovevano occuparsi dei lavori manuali, anche di quelli considerati impuri. Gandhi diede agli intoccabili un nuovo nome:
harijan, "popolo di Hari". (Hari è uno dei nomi di Visnu: era come definirli "figli di Dio").
Nel 1933 il Mahatma sfidò le élite indù con un controverso "viaggio degli
harijan"
attraverso il Paese. Invocò misure radicali, come l'ammissione dei
fuoricasta nei templi. "L'intoccabilità ha le ore contate", dichiarò al
termine del viaggio. Era una pia illusione. Gli storici riconoscono a
Gandhi il merito d'aver posto il problema al centro del dibattito
politico nazionale, impegnandosi con tutta la sua indiscussa statura
morale. Tuttavia, egli non mise mai in questione il sistema castale, e
ottenne ben pochi risultati concreti.
Per molti intoccabili,
specie i più istruiti, Gandhi andrebbe tirato giù dal suo piedistallo.
"È l'uomo che il mondo occidentale ha compreso di meno", sostiene il
professor Thorat. "Certo, ha avuto un ruolo fondamentale nella conquista
dell'indipendenza. Ma se il sistema castale, questo sciagurato
contributo dell'India alla civiltà mondiale, è ancora in piedi, la
responsabilità è anche sua". Persino il termine
harijan, sostengono in molti, ispira pietà piuttosto che rispetto. Gli intoccabili politicamente impegnati preferiscono
dalit, che significa "oppresso".
Secondo
questa corrente di pensiero, Gandhi ebbe tuttavia una colpa ancor più
grave: la sua battaglia contro Bhimrao Ramji Ambedkar, l'unico eroe
indiscusso dei fuoricasta indiani. Ambedkar fu il principale estensore
della costituzione indiana, ideò il programma di assistenza per le
vittime di pregiudizi, scrisse una dozzina di libri, e fondò il primo
partito politico degli intoccabili.
Ambedkar nacque nel 1891; la sua famiglia apparteneva a una casta intoccabile di servitori, quella dei
mahar.
A scuola doveva sedere lontano dai ragazzi delle caste superiori, ma
nonostante le premesse, ottenne risultati brillanti. Grazie ad alcune
borse di studio, conseguì dottorati di ricerca alla Columbia University
di New York e alla London School of Economics. Poi, nel 1923 tornò a
Bombay (oggi Mumbai), dove intraprese la professione di avvocato e aderì
al nascente movimento degli intoccabili. Non aveva peli sulla lingua e
non temeva lo scontro: una volta, al termine di una manifestazione,
bruciò una copia delle Leggi di Manu. Era un atto di eresia e una
dichiarazione di guerra. "Per i fuoricasta, l'unico modo di emanciparsi è
distruggere il sistema castale", ripeteva. La sua posizione era chiara:
smantellare le fondamenta religiose su cui si basava l'ordine sociale.
Agli
inizi degli Anni Trenta, Ambedkar era diventato il principale
rappresentante della causa degli intoccabili. Quando il governo
coloniale britannico decise di concedere i diritti politici anche alle
caste inferiori, Ambedkar chiese che gli intoccabili costituissero un
elettorato a parte. Temeva che, in un'elezione aperta a tutte le caste,
nemmeno gli intoccabili più determinati avrebbero potuto vincere; o che,
per essere eletti, avrebbero dovuto piegarsi agli interessi delle
classi superiori. Riteneva che solo gli intoccabili dovessero votare per
le cariche riservate agli intoccabili.
Gandhi si oppose per
motivi religiosi: temeva che una soluzione laica al problema delle caste
avrebbe distrutto l'induismo. Nel settembre del 1932, quando sembrava
che i britannici stessero per accettare le richieste di Ambedkar, il
Mahatma cominciò un digiuno di protesta "fino alla morte". Dopo pochi
giorni, Gandhi si era già indebolito, e Ambedkar non poté che cedere.
Ottenne che un certo numero di seggi in parlamento fosse riservato agli
intoccabili, ma la spinta verso cambiamenti più radicali era ormai stata
frenata. Non essendo riuscito a sradicare il sistema delle caste
dall'Induismo, Ambedkar finì per abbandonare la sua religione e
convertirsi al Buddhismo nell'ottobre del 1956. Centinaia di migliaia di
intoccabili seguirono il suo esempio; ma dopo soli due mesi Ambedkar
morì, per cause naturali.
Sebbene sia ancora diffusa in alcune
aree urbane, la pratica della conversione non è mai diventata un
movimento di massa. La memoria di Ambedkar però è ancora viva. In
villaggi e città, in quasi ogni quartiere abitato da intoccabili,
compaiono statue o dipinti che lo raffigurano. C'è un suo busto, ornato
da calendule arancioni, anche a Ramabai Colony, una bidonville di Mumbai
che prende il nome proprio dalla moglie di Ambedkar. Mi accompagna a
visitarla il dottor Harish K. Ahire, un medico intoccabile. Camminando
per le viuzze affollate, inondate dal sole, vedo il volto di Ambedkar
ovunque: sulle pareti delle case, sui muri scrostati di piccoli templi
buddhisti, sui segnali stradali. E gli abitanti sono ansiosi
di
raccontare la storia dei loro nonni o dei loro genitori che, proprio
ispirandosi alle idee di Ambedkar, lasciarono i villaggi per le città
per sfuggire alla soffocante morsa delle caste. Eppure, a Ramabai le
fogne sono a cielo aperto, le scuole scadenti, e imperversano le
malattie.
A cosa è valsa, qui, la lotta di Ambedkar? Ahire mi
presenta un intoccabile di nome Ambet Raghunath: è un uomo sulla
trentina, magro, scalzo. Quando è arrivato a Ramabai dal suo villaggio
natio, vicino a Varanasi, aveva in tasca 200 rupie, pari a meno di
quattro euro. Adesso lavora in un negozio, dove confeziona e vende
involti a base di noce di betel da masticare. Guadagna qualcosa come 40
euro al mese, una somma principesca per un intoccabile di campagna, e
manda quasi tutto alla moglie, che egli va a trovare una volta all'anno.
"Non tornerò mai più a vivere laggiù", proclama. "Qui sono libero di
fare il lavoro che voglio, e di vivere dove voglio".
Tra le
baracche di Ramabai tutte le caste vivono fianco a fianco, bevono dallo
stesso pozzo, aspettano in fila l'una dietro l'altra. A unirle è la
povertà. Qui, come in altre aree urbane, gli intoccabili possono vivere
nell'anonimato, con una certa libertà di scelta, e persino con qualche
soddisfazione. Agli occhi di alcuni, questa bidonville può sembrare un
fallimento; ma è anche una sfida coraggiosa, di cui Ambedkar andrebbe
fiero. Dopo la sua morte, nessun leader intoccabile ha esercitato
un'influenza o conquistato un seguito paragonabili ai suoi. Oggi le
speranze di cambiamento sono affidate agli attivisti di base, pochi ma
in numero crescente, che operano nei villaggi di tutta l'India. Il
villaggio è il terreno di coltura del sistema castale, ed è qui che i
militanti insegnano agli intoccabili le tattiche per combattere contro
il proprio destino.
Trovare e formare leader è una missione per Martin Macwan, uno dei militanti più in vista
del
movimento degli intoccabili. Macwan è fondatore e direttore del
Navsarjan Trust, un'organizzazione con sede nel Gujarat che si batte per
il rispetto delle leggi contro la discriminazione.
Ha guidato la
delegazione di intoccabili che ha partecipato alla Conferenza mondiale
delle Nazioni Unite contro il razzismo, tenutasi a Durban, nel
Sudafrica, nel 2001. Il gruppo chiedeva che la conferenza mettesse
all'ordine del giorno anche la discriminazione di casta, ma le pesanti
pressioni del governo indiano hanno impedito che il tema fosse
ufficialmente affrontato.
"Molte delle mie azioni sono influenzate
dai miei ricordi d'infanzia", racconta Macwan. Appartiene a una casta di
tessitori, e non può dimenticare le umiliazioni subite da piccolo:
dover porgere le mani per raccogliere l'acqua, perché nessuno gli
offriva un bicchiere; essere preso in giro perché calzava scarpe
inadatte alla sua casta; vedere sua madre che si rovinava i polmoni
lavorando per un salario da fame in una manifattura di tabacco da fiuto.
Grazie a una borsa di studio, Macwan è stato in seminario dai gesuiti,
ma, sostiene, è rimasto deluso dall'indifferenza delle istituzioni
ecclesiastiche verso i poveri. Dopo la laurea in legge, nel 1983, ha
iniziato la sua attività politica: la mobilitazione per la riforma
agraria nei villaggi di intoccabili. Poi c'è stato l'episodio di Golana.
Era
il 1986 e, assieme a un altro militante, Macwan assisteva una
cooperativa di intoccabili nelle sue rivendicazioni. Il governo statale
le aveva dato in concessione un terreno, ma i proprietari terrieri, che
appartenevano alla casta superiore degli
kshatriya, lo usavano
illegalmente per la trebbiatura, e minacciavano gli intoccabili perché
abbandonassero le loro richieste. La tensione saliva. Un giorno in cui
Macwan era a casa con la febbre, i proprietari diedero l'assalto al
quartiere degli intoccabili. Uccisero quattro persone, ne ferirono 18, e
bruciarono diverse case. Anche il collega di Macwan rimase ucciso.
"Aveva il cranio fratturato. Gli spararono almeno sei colpi", ricorda.
"Non passa giorno senza che mi ritorni in mente".
Macwan passò al
contrattacco, armato soltanto dei diritti costituzionali. "Gli
kshatriya pensavano di poter mettere tutto a tacere con i soldi",
racconta. "Ma si sbagliavano". Riuscì a trovare 150 testimoni, e
organizzò nel villaggio una simulazione del processo, così da prepararli
alle udienze in tribunale. Il processo si concluse con dieci condanne
all'ergastolo per omicidio. "Per pagare gli avvocati gli kshatriya hanno
dovuto vendere terre e fabbriche", dice adesso Macwan. "Hanno perso il
potere economico e anche l'autorità morale".
Incoraggiato dalla sorprendente vittoria, Macwan creò la sua organizzazione. Oggi il Navsarjan ("nuovo inizio" in lingua
gujarati)
opera in circa 2200 villaggi. Ne fanno parte oltre 150 "avvocati
scalzi", appositamente addestrati, che aiutano gli intoccabili a
difendersi in tribunale contro violenze e discriminazioni. Anche i
cittadini di casta superiore possono chiedere assistenza
all'organizzazione, ma devono pagare un prezzo: accettare un bicchier
d'acqua offerto da un fuoricasta.
Per reclutare militanti nei
villaggi, Macwan adotta un semplice criterio: "Cerco la rabbia". Di
solito è un atto di violenza ad accendere l'ira in chi l'ha subito o vi
ha assistito. E negli ultimi anni, le violenze contro gli intoccabili
sono aumentate anche del 25-30 per cento in Stati come il Bihar o il
Tamil Nadu. Secondo gli attivisti, l'aumento delle violenze è una
reazione al nuovo atteggiamento degli intoccabili, più decisi nel far
valere i propri diritti. Ma, aggiungono, i dati ufficiali sottovalutano
la realtà, perché i delitti contro gli intoccabili sono denunciati solo
in minima parte, e ancor meno sono quelli su cui la polizia indaga
davvero.
La rabbia, ma anche la paura e il senso d'impotenza, si
leggono sul volto delle vittime che ho incontrato. Come Laxman Singh,
che vive in un'azienda agricola dello Stato del Rajasthan, nascosto in
un capanno con la sua famiglia. Mi racconta che una notte, nel suo
villaggio d'origine, amici e parenti del presidente del consiglio
comunale l'hanno aggredito a colpi di pietre e spranghe di ferro,
lasciandolo sul terreno "come morto". Ha perso entrambe le gambe per
cancrena, dopo essere rimasto per tre giorni sul pavimento dell'ospedale
senza che nessuno lo curasse. La sua colpa? Aveva effettuato dei lavori
in casa del presidente del consiglio comunale ma non era stato pagato, e
quindi aveva presentato un esposto alla polizia. "I miei aggressori mi
stanno ancora cercando", dice. "Sanno bene che cosa direi contro di loro
in tribunale".
Alcuni dei peggiori delitti legati alle
discriminazioni di casta sono commessi nel Bihar, uno Stato povero e in
preda all'anarchia al confine con il Nepal. Qui, da una trentina d'anni,
agiscono gruppi di guerriglieri di ispirazione maoista - i "naxaliti" -
che si battono per una riforma agraria radicale. Molti intoccabili
hanno imbracciato il fucile per rispondere con la violenza alla violenza
dei proprietari terrieri. Le caste superiori reagiscono con le loro
milizie private.
Nel suo studio di Patna, la capitale del Bihar,
il fotoreporter Krishna Murari Kishan mi mostra il suo repertorio di
massacri: macabre immagini di intoccabili uccisi, per la maggior parte
donne e bambini bruciati vivi nelle loro case. "Ci sono una o due
uccisioni a settimana", spiega Kishan, "ma ormai non me ne occupo più.
Non vale la pena. I direttori dei giornali mi mandano soltanto a
fotografare le stragi".
Con una pistola nascosta sotto il sedile
dell'auto, Kishan mi accompagna al quartier generale della milizia più
tristemente famosa, implicata nell'assassinio di oltre 500 fuoricasta.
In un villaggio di campagna, detto "la fortezza" per le armi che vi sono
accumulate, uno dei capi accetta di rispondere alle mie domande.
È
un brahmano. Gli intoccabili, sostiene, hanno ottenuto troppi diritti, e
il suo gruppo si limita a difendersi. "Se ci provocano, uccidiamo",
s'inorgoglisce. "Dieci intoccabili per ciascuno dei nostri che viene
ucciso. La gente deve imparare a rispettare il sistema castale". A
morire, obietto, sono spesso donne e bambini. Perché prendersela con
degli innocenti? Il brahmano alza le spalle: "Finiscono per caso nella
traiettoria".
Io cerco la rabbia, aveva detto Martin Macwan. E
sono soprattutto le donne intoccabili ad essere arrabbiate, sottolineano
i militanti per i diritti umani. Tanti mariti abbandonano la famiglia
per cercare lavoro in città, e gli uomini rimasti nei villaggi sono
demoralizzati e avviliti. Sempre più donne, invece, decidono che tocca a
loro farsi sentire per difendere la famiglia.
Nell'Uttar Pradesh,
lo Stato più popoloso dell'India, ascolto la voce di una di queste donne
indignate. Il suo nome è Mayawati, ha 46 anni, è un'insegnante e
appartiene alla casta degli chamar, lavoratori del cuoio. Nella città di
Lucknow, diverse migliaia di persone si accalcano per ascoltare il suo
comizio. Mayawati si scaglia contro le Leggi di Manu e promette che i
responsabili dei delitti di casta saranno perseguiti dalla giustizia.
Nell'Uttar
Pradesh, Mayawati guida il Bahujan Samaj, un partito di intoccabili
diffuso nel Nord dell'India. Questa combattiva signora è stata la prima
donna intoccabile a diventare primo ministro di uno Stato; anzi, ha
ricoperto la carica per ben due volte, e per due volte l'ha persa perché
un partito alleato, dominato dai brahmani, ha ritirato il suo appoggio.
La sua aggressiva politica a favore degli intoccabili le ha alienato le
simpatie delle élite.
Trascorse poche settimane da quel comizio,
Mayawati viene di nuovo nominata primo ministro. E, incredibile a dirsi,
forma una coalizione proprio con quello stesso partito di brahmani, che
lei aveva pesantemente attaccato nel suo discorso. Attraverso un
compromesso opportunistico tipico della complicata politica indiana, il
partito delle caste più basse e quello delle caste più alte si sono
alleati per fermare l'avanzata del partito dei sudra, il gruppo sociale
immediatamente superiore a quello degli intoccabili, composto
soprattutto da braccianti agricoli.
Ogni tanto la rabbia esplode
anche ai vertici dello Stato. Tra il 1997 e il 2002 l'India ha avuto il
suo primo presidente intoccabile, K. R. Narayanan. Il presidente
indiano ha soprattutto compiti cerimoniali, ma Narayanan è spesso andato
oltre, proprio per criticare il sistema castale. In occasione della
festa della Repubblica del 2000, ha affermato che, finché
l'intoccabilità
e la discriminazione verso le donne non saranno
sradicate, "l'edificio della nostra democrazia sarà come un palazzo
costruito su un mucchio di sterco".
Ma non saranno i discorsi a
sanare la piaga dei fuoricasta indiani, vittime di una religione che li
considera subumani e di una società rurale che li tratta praticamente da
schiavi. Qualche speranza viene dalla nuova generazione di attivisti,
decisi a combattere utilizzando le vie legali. E nei contesti urbani,
più anonimi e pragmatici, le differenze di casta sono più sfumate. Ma
finché non comparirà un altro leader come Ambedkar, o finché l'Induismo
non cesserà di influenzare in modo così pervasivo la politica e
l'applicazione delle leggi, la condizione degli intoccabili rimarrà una
vergogna.
Un cambiamento radicale, se e quando avverrà, sarà
traumatico e quasi certamente violento. È probabile che si propaghi
lentamente, da un villaggio all'altro, e che nasca in ciascun villaggio
con un atto di sfida. Come quello compiuto da Babulal Bairwa, un
proprietario terriero intoccabile di Chakwara, un villaggio del
Rajasthan. Una mattina, Bairwa ha deciso di fare un bagno nello stagno
del villaggio, vietato agli intoccabili. La sera stessa, una folla ha
circondato la sua casa minacciando di ucciderlo. Bairwa ha denunciato il
fatto alla polizia e a un'organizzazione per i diritti umani. Adesso
non si sposta mai da solo, nel timore di essere aggredito; ma spera che,
in seguito alla sua battaglia legale, lo stagno verrà aperto a tutte le
caste. Nel frattempo cerca di continuare la sua vita. "Sono pulito. Non
fumo, non bevo, non mangio carne. Lavoro sodo. Mi comporto sempre bene.
Perché sono intoccabile?".
Perché è nato così. Centosessanta milioni di indiani scontano questa condanna a vita.
(
National Geographic Italia giugno 2003)