Il 28 settembre esce, finalmente, anche in Italia il film della regista indiana, ora residente in Canada, Deepa Mehta. Il film è tratto dall' omonimo romanzo di Salman Rushdie, scrittore indiano neutralizzato britannico, uno dei capostipiti della letteratura indiana in lingua inglese, la letteratura dei cosidetti NRI (Not Resident Indian).
Di seguito vi propongo un' intervista realizzata dal quotidiano La Repubblica a Salman Rushdie che parla del film in uscita, del suo ruolo di sceneggiatore, del libro da cui è tratto e delle sue fonti di ispirazione e poi continua parlando dei suoi progetti futuri.
Buona lettura e mi raccomando andate a vedere questo film :)
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/18/il-cinema-di-rushdie-io-gangster-in.html?ref=search :
ROMA Salman Rushdie ha le gote arrossate, una giacca scozzese troppo
grande e l' aria serena. Accompagna I figli della mezzanotte, che è
diventato un film (in sala il 28 marzo per Videa) di cui ha scritto la
sceneggiatura. Una storia epica e magica in cui le esistenze di giovani
nati nella mezzanotte del 15 agosto 1947 (quando l' India dichiara la
sua indipendenza dalla Gran Bretagna) s' intrecciano con la grande
Storia. «Molti miei libri sono un atto d' amore per l' India, ma
questo l' ho scritto quando ero giovane e alla ricerca di me stesso e
del rapporto con le mie origini. Sì, è stato scritto con passione, la
stessa con cui ho fatto il film». Perché proprio ora? «Dopo qualche
tentativo fallito avevo rinunciato. Poi, durante una cena a Toronto con
la regista Deepa Mehta lei mi chiede "Chi ha i diritti perI figli
della mezzanotte ?" Rispondo: "Io". E lei: "Posso farlo?". Così
abbiamo iniziato. Com' è stato trasformare il libro in sceneggiatura?
«Ho potuto farlo solo perché l' avevo scritto trent' anni fa. Avevo la
giusta distanza, da vecchio scrittore che guarda al giovane se stesso. È
stato come rivisitare me stesso da un altro punto della vita». Il film
punta sul realismo magico. «Quando scrissi il libro ero influenzato
da Fellini, da film come I vitelloni e Amarcord, da quel suo prendere
vite ordinarie rendendole quasi mitologiche. Deepa invece ha pensato a
Ugetsu di Mizoguchi, in cui la donna fantasma si comporta come una
persona reale. Cosìi nostrii figli della mezzanotte appaiono e
scompaiono, ma quando sono presenti sono reali». Le recensioni del film
sono state miste. «Sì. Non è un film perfetto ma non poteva essere
fatto meglio. E il pubblico ha reagito bene ovunque. Nelle città
indiane è tutto esaurito da gennaio. All' anteprima al festival di
Kerala nella scena in cui finisce la fase repressiva di Indira Gandhi e
la mia voce narrante dice che "l' emergenza è finita" il pubblico ha
festeggiato. In Pakistan il film nonè uscito: lì non pubblicano niente
di mio. O di nessun altro». Quando è nato il suo amore per il cinema?
«Sono cresciuto a Bombay che è la capitale del cinema. Da bimbo avevo
due zie attrici e uno zio sceneggiatore. Allora il cinema occidentale
era più presente di oggi, ogni studio hollywoodiano aveva la propria
sala, vedevamo i film in contemporanea con l' Occidente.E poi da
universitario in Inghilterra a fine anni Sessanta ho vissuto un momento
i cui ogni settimana usciva un capolavoro francese, italiano,
giapponese». Il cinema ha influenzato la sua scrittura? «Almeno quanto
la letteratura. Satyajit Ray, Fellini, Buñuel. E Godard: in sala ridevo
ai suoi film più divertenti e venivo zittito da cineasti seriosi. Ho
sempre amato il cinema. Ho scritto un libro su Il Mago di Oz, ho
lavorato come produttore, sono nell' organizzazione del festival di
Telluride. Ora che ci penso è strano fare il mio primo film a
sessantacinque anni». Continuerà? «Non adatterò più un mio libro. Ma
vorrei scrivere una sceneggiatura originale. Se trovo il regista
giusto...». Il suo libro biografico Joseph Anton? «Ci sono due grandi
produzioni che vogliono seriamente fare il film della mia vita. Ma
stavolta non voglio essere coinvolto. Ho speso gli ultimi quattro anni a
fare l' autobiografia e il mio film. Ora devo pensare ad altro, e
voglio decisamente uscire da me stesso. Sono in fase di gestazione, è
quella più creativa. Sarà un romanzo, perché dal 2007 non scrivo un
romanzo per adulti». E la carriera da attore? «Mi piacerebbe. In
Bridget Jones ho fatto una versione comica di me stesso, ma lo puoi
fare solo una volta. Se mi chiamasse Tarantino andrei di corsa: lo
adoro. Deepa ha scritto un divertente gangster film ambientato nella
grande comunità sikh in Canada. La mafia sikh: droga, estorsione,
prostituzione, le solite cose. Una guerra tra due capimafia indiani a
Vancouver: uno è bello e giovane come una star di Bollywood, l' altro è
bastardo diabolico, un padrino alla Marlon Brando. Io faccio il
vecchio bastardo». Ora che gira liberamente, che bilancio fa di quel
periodo drammatico della fatwa? «Per il mondo dell' arte la condanna a
morte di uno scrittore è stato un grande shock. Ma una delle cose
straordinarie che ha prodotto è che ha lavorato con molta potenza sulle
menti di altri artisti». E dal punto di vista personale? «Ho imparato
molto. Ho incontrato i grandi leader della terra. Anche se sei in una
terribile situazione quando sei uno scrittore c' è una piccola voce
dentro di te che ti dice "guarda che questa è una fantastica
situazione, ricordatela".E poi ho capito che da solo non ce l' avrei
fatta, ne sono uscito perché con me erano in tanti: parenti, amici,
editori, traduttori, lettori. C' è stata una battaglia dell' amore
contro l' odioe la notiziaè che le forze del male non hanno vinto». In
quel periodo è nata la sua amicizia con Umberto Eco. «Fu dolcissimo.
Avevo stroncato il suo Pendolo di Focault. Ci conoscemmo a un meeting a
Parigi. Mi venne incontro a braccia aperte "sono bullshit Eco". Siamo
diventati amici io, lui e Vargas Llosa. Eco ci ha battezzato i tre
moschettieri. Perché io avevo stroncato Eco, Umberto aveva criticato
Mario perché era di destra, Llosa aveva criticato me perché troppo di
sinistra. Siamo diventati un trio inseparabile». E qual è il suo
ricordo migliore di Hollywood? «Il ricordo più bello è anche quello che
ha stroncato un mio futuro con l' Academy. Alla festa del dopo Oscar
in cui fu premiato Robert Altman alla carriera, lo vidi in un angolo,
con la statuetta in mano, stanco e sperduto. Andai da lui e gli dissi:
"Bob, posso tenerti l' Oscar?". E lui: "Porta male: se prendi l' Oscar
di un altro non lo vincerai mai". Io dissi "Vabbè, dammelo lo stesso",
e lo presi. Era molto pesante».